“A day without news?”, la campagna che chiede giustizia per i giornalisti caduti in zone di guerra

22feb2013
L’iniziativa è di un gruppo di professionisti appartenenti al mondo dei media e del fotogiornalismo internazionale, che è sceso in campo per aumentare la consapevolezza dei rischi ai quali gli inviati devono fare fronte quotidianamente

MILANO - Una campagna per chiedere giustizia per i giornalisti caduti nelle zone di guerra. L'iniziativa è di un gruppo di professionisti appartenenti al mondo dei media e del fotogiornalismo, che è sceso in campo per aumentare la consapevolezza dei rischi ai quali gli inviati devono fare fronte quotidianamente nelle zone flagellate da guerre e conflitti, e sensibilizzare e convincere le autorità locali, governative e giudiziarie a perseguire per vie legali chiunque rechi danno ai rappresentanti dei media. Guidata da Aidan Sullivan, vice presidente di Getty Images e fondatore della Ian Parry Scholarship, la campagna A Day Without News? fa il suo debutto ufficiale oggi, 22 febbraio, in concomitanza con il primo anniversario della morte della corrispondente Marie Colvin e del fotogiornalista Rémi Ochlik in Siria.

"L'iniziativa invita a condividere il link www.adaywithoutnews.com attraverso i social networks e a sostenere questa causa per aumentare l'attenzione nei confronti del ruolo essenziale ricoperto da corrispondenti e fotogiornalisti e dei rischi che questi corrono durante i reportage dalle zone di guerra - affermano i promotori -. Il gruppo è motivato anche da un secondo obiettivo: definire un'agenda di natura istituzionale e legale per impedire che i giornalisti diventino dei bersagli, nonché investigare e raccogliere prove per sostenere la ricerca di giustizia in favore di coloro che sono caduti".

E continuano: "Molti corrispondenti, fotografi e altri operatori dei media si trovano a essere deliberatamente bersagliati dai belligeranti durante il loro lavoro; sebbene questo venga considerato un crimine di guerra è stato fatto davvero poco, se non addirittura nulla, per applicare le leggi mondiali sulla tutela dei diritti umani quando si tratta violazioni nei confronti di giornalisti. Negli ultimi dieci anni sono stati uccisi 945 tra giornalisti e corrispondenti operanti in aree di guerra; di questi, in 583 casi non vi è stato alcun processo per crimini di guerra. Solo nel 2012 si sono registrate 90 uccisioni di professionisti attivi nelle zone di conflitto, come Marie Colvin e Rémi Ochlik a Homs, in Siria; oltre a Chris Hondros e Tim Hetherington nel 2011 a Misurata, in Libia".

Aidan Sullivan, ideatore tra l'altro della campagna "A Day Without News?", ha così commentato: "È inaccettabile che chi è impegnato a dare notizie in maniera obiettiva dalle zone di guerra divenga ingiustamente un bersaglio e una vittima senza che i colpevoli vengano puniti e processati. Se questi inviati non testimoniassero direttamente sul campo i tragici accadimenti delle guerre, le atrocità dei conflitti rimarrebbero nell'ombra; per questo è altrettanto crudele che chi ha trovato la morte facendo il proprio lavoro non trovi poi giustizia. È una situazione che deve assolutamente cambiare. Si sta avvicinando il giorno in cui lavorare dalle zone di guerra diventerà troppo pericoloso per i giornalisti".

Tra i sostenitori della campagna vi sono noti professionisti del mondo dei media, esponenti governativi e celebrità che hanno aderito all'iniziativa offrendo il loro supporto. Tra questi: Brent Stirton, Photojournalist, Reportage by Getty Images, Christiane Amanpour, Chief International Correspondent, CNN; Don McCullin, Photojournalist; James Nachtwey, Photojournalist; Jonathan Klein, Co-founder/CEO, Getty Images; Lynsey Addario, Photojournalist; Sir Daniel Bethelem, QC; Tom Stoddart, Photojournalist, Reportage by Getty Images.