I giornalisti e il rispetto delle persone Lgbt: ecco a cosa servono le linee guida

19dic2013
Pubblicato nei giorni scorsi dal Dipartimento per le Pari opportunità, il testo ha suscitato critiche dalla stampa cattolica. Un intervento e una risposta di Giorgia Serughetti, che lo ha curato per Redattore Sociale su incarico dell’Unar

Sono state pubblicate nei giorni scorsi sul sito del Dipartimento per le Pari opportunità le Linee guida per un'informazione rispettosa delle persone LGBT. Il testo fa parte di un progetto intitolato “L’orgoglio e i pregiudizi”, realizzato da Redattore sociale su incarico dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni) tra ottobre e novembre 2013. Il progetto prevedeva quattro seminari per giornalisti, altri momenti di formazione in 9 scuole di giornalismo e appunto queste linee guida. La loro stesura è stata curata per Redattore sociale da Giorgia Serughetti, che ne parla in questo intervento rispondendo anche ad uno dei vari articoli che hanno accolto in questi giorni la pubblicazione.

 

Quando parliamo di persone gay, lesbiche, bisessuali, transessuali “non ci sono regole scritte come nel lessico italiano di base, ma ci sono le scelte delle persone”. La frase è dello scrittore Tommaso Giartosio, che ha partecipato a uno dei seminari “L'Orgoglio e i Pregiudizi”, e la prendo in prestito perché mi sembra un buon punto di partenza per spiegare il senso del percorso che ha portato alla redazione delle “Linee guida per un'informazione rispettosa delle persone LGBT”.

Cosa significa che non ci sono regole ma persone? Che il linguaggio è uno strumento in evoluzione, così come i fenomeni sociali e la cultura: cambia per esempio insieme al discorso sui diritti, e in Italia il cammino verso il riconoscimento dei diritti delle persone LGBT è appena cominciato. Pensiamo alla sentenza della Corte Costituzionale (n. 138 del 2010) che ha stabilito il diritto delle coppie same-sex a un riconoscimento giuridico. Anche l'interpretazione del dettato costituzionale è soggetta a mutamenti. E la sensibilità verso il linguaggio si evolve in conseguenza di tutto questo.

La frase in apertura significa, poi, che sono pochi e semplici i criteri che si possono adottare per decidere come è raccomandabile parlare di temi e fatti che riguardano le minoranze LGBT: ascoltare l'opinione di chi le rappresenta nella società civile – associazioni, reti –, di chi ne conosce in profondità le caratteristiche e i problemi, ma anche di chi nel mondo del giornalismo e della comunicazione promuove modalità adeguate per trattare questi contenuti.

Sono le scelte che queste persone fanno giorno per giorno a comporre il quadro, per definizione in divenire, delle raccomandazioni contenute nelle linee guida. In cui si dice, per esempio, che “fare outing” (rivelare l'omosessualità di qualcuno) non è lo stesso che “fare coming out” (rivelare la propria omosessualità); che quando una persona transessuale transita verso l'identità femminile è giusto parlarne al femminile e non al maschile (es. non “il trans Brenda”); che transessualità non equivale a prostituzione; che le donne lesbiche sono spesso invisibili persino nei discorsi sull'omosessualità mentre andrebbero riconosciute nella loro identità autonoma; che quando parliamo di unioni, matrimoni, famiglie si fa spesso una grande confusione e questo non aiuta né a capire né a comunicare correttamente su questi temi. Si chiarisce, anche, cosa si intende per hate speech, discorso d'odio, e in che modo si può contrastare la sua propagazione, in conformità con le raccomandazioni del Consiglio d'Europa e dell'Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali.

L'associazionismo e il mondo dell'informazione tradizionalmente più aperto a queste tematiche hanno accolto con favore l'iniziativa, mentre – in parte prevedibilmente – la risposta della stampa cattolica è stata più ostile. Cerco di rispondere ad alcune obiezioni, almeno a quelle che non discendono direttamente da principi non negoziabili ma invece riguardano il senso, il fondamento e l'obiettivo dell'iniziativa. Penso ad alcune frasi dell'articolo uscito su Avvenire, a firma di Lucia Bellaspiga, in cui si legge per esempio che il “decalogo” serve a “rieducare i giornalisti” dividendo “i buoni dai cattivi”, o che si minaccino “sanzioni da parte dell'Ordine dei Giornalisti” (che peraltro non ha patrocinato il documento, ma solo i seminari di formazione). In realtà, ciò che il documento fa è richiamare il Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali e la Carta dei doveri del giornalista, dove il diritto alla riservatezza e alla non discriminazione (anche per sesso), così come la dignità e il rispetto della sfera della sessualità della persona, sono già tutelati.

Poi si legge che, certo, “il rispetto è dovuto a tutte le persone, nessuna esclusa, e che sposiamo in toto il documento laddove chiede che gay e lesbiche non vengano insultati o discriminati in quanto tali” ma “nemmeno è accettabile il contrario”. Qual è il contrario del rispetto dovuto alle persone LGBT? L'iper-rispetto? Più probabilmente, sembra di capire, quella che viene definita “l'imposizione di un punto di vista, tanto più se univoco, contrario alla fede, o al libero pensiero, o persino alla Costituzione”.

È il caso forse di spiegare cosa queste linee guida non sono: non sono un decalogo calato dall'alto ma il frutto di riflessioni e confronti che hanno coinvolto esperti/e, giornalisti/e, rappresentanti delle associazioni nell'ambito delle attività del progetto “LGBT Media and Communication”, finanziato dal Consiglio d’Europa, in attuazione del Programma “Combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” (Raccomandazione CM/REC(2010)5). Non sono quindi l'espressione di assunti ideologici, ma un prodotto che si inserisce nel solco della teoria dei diritti umani, così come va continuamente definendosi in seno agli organismi internazionali.

Sono uno strumento pensato per aumentare la consapevolezza di chi scrive: consapevolezza dei temi, delle problematiche, del significato delle parole. Uno strumento che non chiude ma anzi apre alla discussione, e su cui il confronto è benvenuto. Con l'obiettivo, però, di fare un passetto avanti verso una visione più matura dei diritti e un linguaggio rispettoso verso tutte le differenze. (Giorgia Serughetti)