Toccare e stare attenti: ecco il metodo per affrontare le transizioni
CAPODARCO - “Leggere il meglio del mondo che verrà”. L'ultimo appuntamento del seminario del Redatore sociale si è dato il difficile compito di provare a fare il punto su come i professionisti della comunicazione possono leggere la transizione presente e capire quale sia il futuro che ci attende. Don Vinicio Albanesi, anima della Comunità di Capodarco, il teologo e editorialista di Repubblica Vito Mancuso e il giornalista e direttore di Rai Radio3 Marino Sinibaldi si sono addentrati in un'articolata discussione che li ha trovati d'accordo su alcuni punti fondamentali.
La transizione, innanzitutto, è disorientante, fa paura, ma contempo fa parte della vita del genere umano. Come ha sottolineato Mancuso, “ogni epoca ha sentito la transizione come propria”. Ci dev'essere, però, un primato dell'etica, nella nostra coscienza ci dev'essere qualcosa che non cambia, un ideale permanente, ma al contempo, ha proseguito il teologo, “ciò non deve portare alla rigidità, a un sistema chiuso, ma all'apertura. La scommessa del nostro tempo è avere una gerarchia di valori che sia al contempo dinamica, continuamente aperta alla contraddizione e al cambiamento, che non si risolva in una dogmatica arcigna e inconcludente”.
“Aperto è meglio di chiuso”, gli ha fatto eco Sinibaldi, “è questa la cosa che non cambia. Dal mio punto di vista”, ha continuato, “è una questione di metodo più che di valori, e quello del metodo è un problema serio e non semplice da risolvere. La principale lezione sul metodo, secondo me, ce l'ha offerta da Altan, l'ospite più laconico che ci sia mai stato qui a Capodarco in vent'anni di seminari, quando ci disse che il suo mestiere è quello di stare attento. Dentro le trasformazioni devo stare attento a tutti i segnali, senza trascurarne alcuni”. Sinibaldi ha poi affermato che un'altra importante lezione sul metodo l'ha fornita Iannacone quando ha raccontato della sua intervista a un attivista per il diritto alla sessualità dei disabili, Max Ulivieri, ed è 'toccare'. “Io voglio assumere questo verbo in senso metaforico. Stare attenti e toccare secondo me basterebbero come lezioni di metodo sul nostro mestiere, e forse anche in senso più ampio. L'attenzione implica tempo”, ha poi specificato, “ e questo è contraddittorio con gran parte del nostro lavoro. Toccare implica movimento: ecco una cosa che non cambia e che potremmo assumere come antidoto all'ideologia della trasformazione. Un'altra lezione ci viene da Kapuscinskii, sull'uso del metodo dell'empatia contro quello del cinismo e della superficialità, quest'ultima il vero nemico, insieme alla mancanza di attenzione e alla mancanza di empatia”.
Don Vinicio ha osservato che in questo momento di transizione sembra esserci un ritorno alla natura nei suoi elementi essenziali, cosa che è spesso avvenuta nei momenti di crisi economica. Il ritorno all'essenzialità, se da un lato è positivo, dall'altro ripropone il divario tra ricchi e poveri in termini ottocenteschi, e rischia di precipitare verso l'abbandono della dignità della vita: “Ad esempio, c'è una diminuzione nel numero dei ticket sanitari, e ciò significa che la gente non ha più i mezzi per curarsi”. Mancuso ha ricordato che legata alla natura c'è la nostra identità più profonda: “Quando pensiamo alla natura, d'istinto immaginiamo qualcosa al di fuori di noi, mentre in realtà ne siamo parte: noi siamo la natura che prende consapevolezza di se stessa, se riflettiamo sulla natura, stiamo riflettendo su di noi. Per me questa è la chance del nostro tempo di tornare agli elementi fondamentali: tutto il lavoro del pensiero deve tornare a confrontarsi oggi con gli elementi del cosmo”.
Il teologo ha proseguito affermando che la mente umana ha sentito la necessità di discriminare tra la sostanza, che non passa, e l'accidente, effimero, per tentare di capire il mistero della natura, che è “nascitura e al contempo moritura”, dialettica di vita e morte che si intersecano. “La grande sfida del nostro tempo è tornare alla primordialità della natura: se io dovessi indicare un fondamento del principio etico, sarebbe la primordialità della natura, questo perché, se guardiamo ai suoi elementi e comprendiamo che possono generare vita perché sono dominati da una logica relazionale, troviamo la base dell'etica. L'etica è solo l'espressione di questa armonia che è alla base della fisica, della chimica e della biologia. Quando tu agisci trattando un essere umano come un fine e non come un mezzo, non stai facendo altro che esprimere la logica che interiormente ti compone e ti plasma: siamo sistemio operativi intessuti di armonia relazionale. E' questo”, ha concluso, “l'antidoto alla frammentazione e all'individualismo che stiamo vivendo oggi”. (Elisa Manici)