Lgbt, le parole possono far male. I doveri del giornalista

15ott2013
Seminario Unar-Redattore Sociale. Cannavò (Corriere della Sera): “Penso che si debba cercare di raccontare anche la normalità delle persone”. Gamba (Vanity Fair): “Mai fermarsi all’apparenza, a quel che sembra scontato di fronte ai fatti di cronaca”

MILANO - Che le parole possano fare danni nessuno lo mette in dubbio. Ma poi la vita di redazione è dettata da tempi stretti, dall’ansia di arrivare per primi e di dover rilanciare la stessa notizia su media diversi: non c’è solo l’articolo per il giornale cartaceo o il servizio per il tg, ma anche il sito e i social network. Come evitare che far danni? Soprattutto quando di parla di persone? Domande per le quali si deve trovare una risposta giorno per giorno. E al seminario di Milano “L’orgoglio e i pregiudizi”, organizzato da Unar e Redattore sociale (vedi lanci precedenti), hanno cercato di dare una risposta Alessandro Cannavò, caporedattore del Corriere della Sera, e Matteo Gamba, coordinatore del sito di Vanity Fair. “Penso che si debba cercare di raccontare anche la normalità delle persone Lgbt –afferma Cannavò-. In occasione della visita di Papa Benedetto XVI a Milano l’anno scorso, il Corriere della sera ha pubblicato un inserto sulle famiglie, raccontando appunto anche quella di due donne milanesi che hanno quattro figli. L’altro tema importante da seguire riguarda poi le discriminazioni, in particolare quelle subite dagli adolescenti”.

“Penso che la prima cosa che deve fare un giornalista è di non fare del male alle persone con le parole che usa –aggiunge Matteo Gamba-. E mai fermarsi all’apparenza, a quel che sembra scontato di fronte ai fatti di cronaca. Ricordo ancora il caso di un omicidio a Bologna, che a prima vista sembrava in realtà una morte causata da un gioco erotico. In realtà l’uomo aveva ammazzato la donna e poi aveva finto il gioco erotico. Il ruolo del giornalista è proprio quello di indagare fino in fondo”. (dp)