Leogrande: "Così ho ricostruito storie e volti di un naufragio di migranti"
CAPODARCO DI FERMO - "Un'inchiesta-racconto che suscita rabbia,
empatia , voglia di giustizia". Così il filosofo Marco Filoni
definisce "Il naufragio. Morte nel Mediterraneo", di Alessandro
Leogrande. Il libro è stato oggi al centro di uno dei workshop del
seminario di Redattore Sociale, "Labirinto senza fili", in corso a
Capodarco di Fermo (vedi lanci precedenti). La storia
raccontata da Leogrande, vicedirettore del mensile "Lo straniero" è
accaduta il 28 marzo 1997: una piccola motovedetta albanese, la
Kater i Rades, viene speronata da una corvetta della marina
militare italiana, la Sibilla. Si salvano 34 persone, i morti sono
57, in maggioranza donne e bambini, 24 i corpi mai ritrovati.
Cosa vuol dire raccontare un naufragio? "Significa raccontare chi
c'era su quella nave - ha spiegato l'autore - al di là dell'elenco
dei nomi, chiedersi che vita avevano queste persone, restituire
dignità umana, dare degna sepoltura ai corpi ricostruendo
storie e volti". Ci sono due livelli di racconto: quello collettivo
e quello di ciascuna vita: "Ho costruito la dimensione corale del
racconto, perché il naufragio è un evento collettivo solo
statisticamente, ma ho ricercato anche le storie personali girando
per le città e i villaggi dell'Albania, incontrando i superstiti e
i familiari delle vittime". Nella storia della Kater i Rades si
intrecciano il contesto storico albanese e quello italiano: "La
gente partiva dall'Albania non solo per fame, ma anche per scappare
dalla violenza della guerra civile. Contemporaneamente in Italia si
era scatenanata l'ossessione dell'invasione. C'era il governo Prodi
che varò misure di controllo e pattugliamento delle acque tra
Italia e Albania, in altre parole le politiche di respingimento,
applicate dalla marina militare". Per la sua inchiesta Leogrande ha
incontrato anche i militari, gli avvocati. "Le carte del processo -
ha spiegato - sono importantissime ma lì ci sono enormi zone
d'ombre". La storia della Kater i Rades è anche una vicenda di
mare e io ho cercato di far sentire l'odore del mare".
Leogrande conosce bene l'Albania, perché ha lavorato nei
campi della Caritas. Per Leogrande, bisogna sempre partire dalla
propria realtà, da ciò che si conosce: "Tutti i grandi reporter
hanno raccontato il loro mondo, si parte da ciò che ci circonda,
dal raffronto con la propria città, il proprio quartiere. Ma è vero
anche che i grandi reporter sono anche quelli che vanno in un posto
per una settimana e riescono a capire le cose". Un'altra
indicazione: evitare la forma accademica. "Se in questi giorni
vai a Taranto, sarebbe meglio non iniziare un reportage parlando
del diritto alla salute e del diritto al lavoro, ma piuttosto
raccontare la storia di un operaio, creando cioè un'unità narrativa
intorno a un'unità biografica".