Imarisio: “La chiave del giornalismo moderno è mettersi in gioco, dare un po’ di sé”

03dic2012
L’inviato del Corriere al seminario di Redattore Sociale: “C’è bisogno di un giornalismo fisico, che va a raccontare le cose”. Sull’assenza di good news dai media: “Forse il pubblico non le vuole o forse non sappiamo raccontarle”

CAPODARCO - "La qualità del racconto dipende da due elementi: l'essere nel posto in cui le storie accadono e comunicare quello che si è sentito mentre accadevano". È un invito a lasciarsi andare, ad abbattere i filtri, a mettersi in gioco quello lanciato ai giornalisti del seminario di Redattore sociale da Marco Imarisio, inviato del Corriere della Sera nel corso del workshop "Raccontare l'Italia con il reportage"."È necessario lasciarsi andare alla propria sensibilità per raccontare quello che si vede da una personale visuale, riportando i dettagli che fanno la differenza - spiega il giornalista -. Questo impone un 'andare a mani nude', senza farsi scudo. Io parto sempre da quello che vedo e per mostrare l'assurdità di ciò che accade bisogna commuoversi". Per Imarisio - che cita Kapuściński e il suo celebre  'il cinico non è adatto a questo mestiere' - fare l'inviato è un'attività fisicamente ma anche emotivamente impegnativa: "Quando vedi certe cose ci stai male, mi capita di svegliarmi di notte rivedendo immagini che mi sono rimaste in testa".

Nel mestiere moderno la barriera tra scrittura e giornalismo è saltata: "Una volta si diceva che deve esserci un filtro tra te e la storia. Io invece sono convinto che si debba dare qualcosa al lettore, un surplus che, nel caso del reportage, significa dimostrare di essere nelle cose". Nel giornalismo di oggi non esiste più un canone unico: "Certo si devono dare le informazioni necessarie, ma tutto il resto è demandato a te, al tuo sentire. Il reportage è uno strano impasto di occhi e sensazioni".

Sollecitato dallo scrittore Angelo Ferracuti sul ritorno del "giornalismo fisico", che va nei luoghi a raccontare le cose, Imarisio sottolinea che "è una strada quasi obbligata: in un momento in cui siamo tutti iperconnessi c'è bisogno di qualcuno che racconti 'quella' piccola realtà che va a vedere". E per raccontare come si deve non si può partire allo sbaraglio: "Il piacevole corollario di questo mestiere è informarsi sulle cose che si devono raccontare. Chi scrive deve dimostrare di sapere di cosa parla, anche perché ormai chi legge si accorge subito se sono riportate inesattezze perché ha mille modi per informarsi e verificarle".

Infine, un consiglio pratico sul metodo di scrittura: "Se devo raccontare un fatto di giornata chiudo le agenzie, spengo Sky e racconto quello che ho visto, scrivendo di getto". A una domanda sull'assenza delle "good news" dai media, Imarisio risponde che "non sono i giornalisti i cattivi, ma assolvono a una domanda: l'omicidio di Cuneo si leggerà sempre di più di una 'good news'. So che è desolante ma penso sia così. O forse siamo noi che non troviamo un modo di raccontare le cose positive come dovrebbero essere raccontate". In ogni caso il giornale non può essere ostaggio dei gusti del pubblico: "Gli articoli più letti sono quelli su Pamela Anderson che si rifà il seno, mentre dell'Ilva di Taranto non sembra interessare a nessuno. Ma il giornale, giustamente, continua ad aprire su questo. La priorità delle notizie resta". (gig)

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