Lucas, consigli ai giovani: “Costruite un giornalismo dal basso, credendoci”
CAPODARCO DI FERMO - Tanti gli spunti e i passaggi
interessanti dall'intervento di Uliano Lucas al seminario per
giornalisti Redattore Sociale. Dopo aver raccontato gli inizi e il
clima dell'Italia degli anni '60, Lucas è passato ad esaminare il
presente, lanciandosi poi in una serie di suggerimenti alla giovane
platea.
Un Paese dipendente. Aggiunge Lucas: "L'altro
giorno su intere pagine di giornale c'era questa straordinaria
storia del calendario Pirelli! Basta modelle, adesso c'è il
sociale! In realtà c'è da vergognarsi. Chi è stato nel terzo mondo
dice: è impossibile che un fotografo come Salgado faccia una
campagna per Illi caffè e invece di fotografare i bambini
lavoratori fa una campagna pubblicitaria con una bellissima donna
indiana che raccoglie chicchi di caffè! Il fatto è che siamo in un
Paese dipendente totalmente dalle grandi agenzie. E un Paese così è
un Paese che balbetta. Ragionate sulla comunicazione - ha detto,
riferendosi ai giovani giornalisti presenti -. L'Italia dipende
totalmente dall'informazione straniera. L'80% delle immagini è di
provenienza straniera. Non abbiamo fonti, e dall'estero arriva
anche il materiale scritto. Il problema, dunque, è come ti arriva
l'informazione. E' su questo che vi fregano".
Altri tempi, quelli di Lucas… "Le foto degli ospedali
psichiatrici nessuno te le pubblicava - ricorda -. Così come le
foto delle case degli operai! C'è voluto il '68 per formare una
generazione di giornalisti". Ma l'Italia sembra non avere imparato
nulla. "A Sarajevo, durante il conflitto, c'era un solo giornalista
che parlava la lingua del posto. Eppure 6 milioni di persone
andavano là in vacanza! E oggi in Africa il Corriere, Repubblica,
La stampa ecc… non hanno un corrispondente. In America Latina ci
sono 3 corrispondenti! Le Monde invece fa piazza pulita. Con 350
mila copie vendute ha 20 corrispondenti in Sud America!".
Quanto al ruolo della fotografia, il destino non è diverso
dagli articoli. "La fotografia oggi non è usata. Perchè i
giornalisti non hanno mai capito nulla della fotografia. Perché
sono stati sempre conto. E perché i direttori non ci capiscono
nulla. La fotocronaca nasce in Germania nel 1926. C'è sempre stato
grande controllo per l'immagine, che ancora continua".
Come cogliere la realtà. Lucas è un
fotografo-giornalista perché ha sempre voluto proporre reportage,
che fossero un racconto. Ma come si fa a fotografare una cosa che
si sta trasformando? "In tutti i miei racconti sono sempre tornato
sui miei passi. Con la psichiatria, per esempio, la fotografia ha
svolto un ruolo determinante. Ma io continuo a raccontare la storia
della psichiatria ancora oggi. Perché un conto era fotografare
l'utente con il pigiama addosso e un conto è raccontare oggi che
fanno 4 ragazzotti con disagio mentale, cosa fanno le cooperative.
Molti dei miei lavori nascono con il dialogo. Il problema era
entrare in quei 2 o 3 posti (fabbrica, carcere, manicomi) e cercare
di capire. Poi andare nelle loro case, conoscere le loro storie e
le loro famiglie. Capire, insomma. Sarajevo era una città assediata
perché l'Europa l'aveva dimenticata". E oggi? "I giornali vogliono
il sangue - afferma Lucas; vogliono il bambino, la retorica del
bambino. L'Africa, per esempio, è sempre continente di gente con la
pancia gonfia. Nessuno parla delle università africana, della nuova
borghesia africana. C'è un'altra Africa, fatta di scrittori, di
giornalisti, di uomini di cultura! Il problema è che sono fuori dal
mercato, l'Africa come l'America Latina. Non c'è un'agenzia
africana e sudamericana che dia notizie. Se non sei alfabetizzato
su questo, sei un perdente".
L'invito ai giovani. Una fotografia, per
capirla, bisogna essere colti. "Perché una foto ti dà tanti rimandi
- sottolinea Lucas -, se sei colto. Ti rimanda al cinema, alla
poesia, ai quadri, a sensazioni. Ti rimanda a tanto. E più la
guardi, più hai rimandi, storie. Se hai letto Freud, se hai dentro
materiale. Poi la foto ha una costruzione e un alfabeto. Ci sono
delle fotografie potenti, come quelle del Che disteso sul tavolo,
perché ci rimanda alla grande pittura del '400, del '500 e del
'600. E' questo l'importante. Quando si impone una foto, dietro c'è
una storia già nostra".
L'impressione è che oggi sia difficile imporsi. "E' proprio
questa paura verso la foto il motivo per cui i giornali non la
usano. Il vecchio foto-giornalismo è finito, perché è finita la
formula. Il grande coraggio della vostra generazione è quella di
mettervi da soli. Costruite un giornalismo dal basso, credendoci,
in cooperativa, ed entrando nel mercato. Non c'è altro modo. Io ho
sempre pensato: pochi soldi, ma sono libero!".
E conclude: "Si tratta, con grande intelligenza, di fare il
salto. I giovani fotografi che tentano di entrare nel mercato non
hanno nessuna possibilità. Il mercato è chiuso, Stessa cosa per la
scrittura. Allora inventiamoci altro. C'è bisogno di informazione
nuova, fresca, credibile. Attraverso nuovi sistemi di
comunicazione. Il giovane reporter che pensa di entrare nelle
agenzie internazionali uscendo dalle scuole italiane,
dequalificate, è un matto! Piuttosto: caporedattori, gli inviati,
gli opinionisti, non si vergognano delle condizioni in cui versano
le nuove generazioni di giornalisti? Tu sei un caposervizio e di
fianco hai dei precari… No, così non si può! C'è silenzio e
complicità di uh meccanismo che è collegato alla complicità di
tutto il resto. C'è la presa in giro totale. Vogliamo rompere
questo meccanismo? Il problema è il ruolo sociale del giornalista.
Non ve lo fanno fare? Inventatevelo!". (da.iac)