A Capodarco Uliano Lucas, il “fotografo della trasformazione”
CAPODARCO DI FERMO - Il fotografo e il sociale. Il 19°
seminario Redattore Sociale ha aperto i lavori con l'intervento di
uno dei più grandi fotogiornalisti italiani: Uliano Lucas. Entrato
giovanissimo in contatto con il gruppo di fotografi riunito a
Milano attorno al 'Bar Giamaica' (storico circolo milanese), Lucas
- oggi 70enne - ha collaborato con numerose testate italiane e
internazionali e ha realizzato decine di libri e di mostre
personali. Ha fotografato, tra l'altro, l'evoluzione del lavoro,
della salute mentale dai manicomi in poi, della tossicodipendenza,
della disabilità, delle periferie, del volontariato, delle
diseguaglianze sociali, unendo sempre la durezza della denuncia
alla testimonianza documentata e all'attenzione alle storie delle
persone incontrate.
Intervistato dal direttore dell'Agenzia Redattore Sociale,
Stefano Trasatti, Lucas ha parlato e ha consigliato la giovane
platea sui modi di dipanarsi senza difficoltà nel "labirinto"
dell'informazione. "Lucas è stato dentro il romanzo della società
italiana e internazionale - ha affermato Trasatti -. In realtà è
stato ed è il fotografo della trasformazione. Lontano dai circoli e
dai compromessi", ha aggiunto.
La storia. Ma cosa significava in quel
periodo far parte di quel gruppo? "Per me è stata l'assoluta
libertà, la capacità di parlare e ragionare con gente
straordinaria, che arrivava dalla provincia - ha ricordato Lucas -.
Non si ragiona spesso sull'immigrazione intellettuale che ha fatto
grande Milano. Milano diventa grande per questo: l'arrivo di
personaggi che hanno fatto grande la città. Un mondo di gente
libera e libertaria, che si godeva la vita".
"La mia vita è stata una grande sequenza di incontri - ha
continuato -. Ho scoperto il cinema, Brecht, il dadaismo, ecc… In
un contesto che era provinciale e che rimane provinciale".
"Il giornalismo degli anni '60 era un giornalismo di veri
cialtroni - ha cggiunto Lucas -. Andate a sfogliare i rotocalchi di
allora, che arrivavano a 20 milioni di copie. Argomenti irreali:
sua maestà, le maggiorate fisiche, i cantanti… La realtà italiana,
le periferie, i problemi delle donne che entravano nel mondo del
lavoro… Niente!! Non se ne parlava! Non c'erano diritti, libertà.
Il gruppo del Giamaica era gente che viveva con proventi di foto
vendute ai grandi giornali europei. In Italia non si vendevano. Non
si pubblicavano, perché il conformismo era tanto. Per fortuna poi è
nato l'Espresso, il Mondo e l'Europeo, e noi abbiamo trovato una
nostra collocazione".
Questione di scelte. Lucas ha sempre
sostenuto i generi, inventandone alcuni. Ha fotografato le scritte
di protesta sui muri,per esempio,e ha introdotto la fotografia
stradale. Ha anche dato un timbro alla foto sociale. Poi c'è stato
l'impegno civile. Il tutto ha creato una figura di fotografo
indipendente ma che prende sempre posizione. "E' una scelta - ha
affermato -. Ho scelto di fare il free lance in un Paese analfabeta
in fatto di fotografia. E la fotografia, oggi, è ancora controllata
dal direttore. Non c'è un direttore specifico come in Francia o in
altri Paesi. In quei tempi si è potuto fare del giornalismo libero
perché la società era in fermento! Si andava alla Fiat per
capire 50 mila operai da dove arrivavano, dove vivevano, la loro
formazione… Inchieste vivendo dentro. L'ho fatto con Basaglia per
gli ospedali psichiatrici. E l'ho fatto dappertutto nel mondo, con
la solidarietà degli altri. Il primo reportage all'Ilva di Taranto
l'ho fatto andando lì per una settimana, nel 1982! Ma non vendevo
le foto. Non è merce! E' parte della mia storia! Ed ancora: i primi
immigrati sono stati fotografati nel 1969 a Mazara del Vallo. Il
'Giamaica' mi ha insegnato a non avere miti. Smettiamola con queste
cose. Ai tempi si viaggiava per mesi con grandi giornalisti. Ma
finiva lì. La necessità era solo quella di raccontare".
(da.iac)