Carcere e media, arriva la Carta di Milano per l'informazione corretta
ROMA - "Se il film Cesare deve morire dei fratelli
Taviani, candidato italiano all'Oscar, lo vince, è un messaggio
enorme perché in quel film hanno recitato solo detenuti di alta
sicurezza, detenuti che hanno commesso reati gravi". È quanto ha
affermato il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni nella
sede dell'Associazione Stampa romana in occasione della
presentazione della Carta di Milano" sul carcere e la pena. "Nel
Lazio circa 100 detenuti sono universitari con diversi atenei - ha
aggiunto- in realtà se si vuole uscire dal crimine il
problema non è tanto il lavoro, ma è la cultura". Secondo
Marroni, inoltre, in questo momento il tema dei Centri di
identificazione e di espulsione è più seguito dai giornalisti
rispetto al carcere. Il garante ha poi ricordato un'altra
esperienza positiva a Rebibbia: "In alta sicurezza - ha detto - c'è
una cooperativa che gestisce le violazioni del telepass, le
violazioni commesse dagli automobilisti in autostrada vengono
mandate ai detenuti di alta sicurezza e sono loro che denunciano
alla società autostrade".
La Carta di Milano è un protocollo deontologico per operatori
dell'informazione che trattano notizie concernenti cittadini
privati della libertà o ex detenuti tornati in libertà. Al momento
è stata approvata dagli ordini regionali dei giornalisti in
Lombardia ed Emilia Romagna. L'intento è che diventi uno strumento
etico nazionale, come la Carta di Roma lo è per il tema dei
rifugiati e dell'immigrazione. La Carta stimola i giornalisti a
"usare termini appropriati in tutti i casi in cui un detenuto
usufruisce di misure alternative al carcere o di benefici
penitenziari evitando di un ingiustificato allarme sociale e di
rendere più difficile un percorso di reinserimento sociale che
avviene sotto stretta sorveglianza", ricordando che "le
misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una
modalità di esecuzione della pena". Li invita, tra l'altro, a
"tutelare il condannato che sceglie di parlare con i giornalisti,
adoperandosi perché non sia identificato con il reato commesso, ma
con il percorso che sta facendo. E a usare termini appropriati
quando si parla del personale in divisa delle carceri italiane:
poliziotti, agenti di polizia penitenziaria o personale in
divisa".
"Difficoltà a fare percepire all'esterno le cose positive" è stata
espressa da Maria Claudia Di Paolo, Provveditore Reg.
Amministrazione Penitenziaria Lazio. "Diamo voce anche a gli
operatori del carcere, a tutti - ha detto - Si deve creare
un'affidabilità di questa istituzione che viene quotidianamente
lesa dalle notizie. Facciamo dire a loro quali sono le difficoltà,
sono terrorizzati da come si vedono rappresentati. Oltre a vivere
una quotidianità pesante, le notizie su di loro e sull'istituzione
hanno una ricaduta forte. Dentro al carcere c'è anche un'umanità
che nessuno conosce, facciamola conoscere alle persone perché la
società si riappropri di questa istituzione".
Mauro Mariani, Direttore del Carcere di Regina Coeli e direttore
pro tempore Carcere Rebibbia, ha raccontato la sua esperienza con
il caso Fiorito. "Lui ha il diabete, abbiamo fatto in modo con la
direzione sanitaria di organizzare una corretta alimentazione - ha
spiegato - ma i giornalisti hanno scritto gli hanno negato
anche la Coca cola. C'è la tendenza all'allarmismo sociale e
al risentimento che poi è funzionale alle politiche della
sicurezza. E ci sono omissioni o comunque un'informazione non
completa, parziale su alcuni temi: la presunzione di innocenza, il
50% di persone assolte dicono i dati, la bassissima rilevanza della
recidiva nell'applicazione di misure alternative. I sucidi, noi
operatori penitenizari ci sentiamo colpevolizzati e ci sentiamo
colpevoli perché vorremmo fare di più. Nel 2011 ci sono stati
centinaia di tentati suicidi e oltre 1000 atti di
autolesionismo. Di questo non si parla, se non sono andati a
buon fine è grazie all'intervento di operatori e psicologi".
A Mariani ha replicato Letizia Gonzales, presidente dell'Ordine dei
Giornalisti della Lombardia. "I contenuti li scelgono i direttori
dei giornali in autonomia- ha detto - credo sia una questione
di sensibilità e di cultura. Il giornalista singolo non basta,
perché può fare proposte e il direttore non accettarle. Credo sia
un problema di sensibilizzazione".
Roberto Di Giovan Paolo, senatore della Commissione Diritti Umani
e Presidente del Forum nazionale per il diritto alla salute in
carcere, presente al dibattito, ha dichiarato a Redattore Sociale a
margine dell'inziativa: "speriamo che quanto prima divenga
una carta nazionale per fornire linee direttive per parlare
correttamente del tema carcere e privazione della libertà in
genere. Molto spesso tra i giornalisti non c'è conoscenza piena dei
meccanismi del codice di procedura penale e come funziona il
carcere". (Raffaella Cosentino)