“Benvenuti in Italia”: ironia, angoscia e speranza nelle storie dei rifugiati
ROMA - Sempre ben vestita con colorati abiti tradizionali del
suo paese, Margherita Bambara è la padrona di casa di una piccola
pensione, ristorante e ritrovo dei burkinabè a Napoli. È anche una
rifugiata. Ha lasciato il suo paese e i suoi figli perché il marito
la picchiava e minacciava di ucciderla. "Chez Margherita" è il
posto dove tutti i fratelli africani trovano alloggio. Se hanno
soldi contribuiscono all'affitto. Sennò mangiano e dormono gratis.
Ma per Margherita diventa un problema continuare a pagare il canone
mensile. Dipinta con ironia e delicatezza, la storia vera al centro
del corto di Hamed Dera, rifugiato ivoriano, è uno dei cinque
lavori del film documentario "Benvenuti in Italia", realizzati da
altrettanti rifugiati. Un opera ben riuscita che ha poco da
invidiare ai migliori documentari italiani sul tema delle
migrazioni. Margherita, ripresa nella quotidianità, buca lo
schermo. Quando va a fare la spesa e quando a fine giornata segna
su un quaderno i crediti dei tanti clienti che non pagano,
domina la scena con battute divertenti o riflessioni amare, ma
soprattutto con la forza delle donne africane. Hamed Dera ha
incontrato Margherita nel ghetto di Pianura, prima dello sgombero.
Lì, in quelle condizioni precarie, Margherita aveva già impiantato
una piccola attività. Poi è andata a trovarla con la telecamera
anche a Napoli per raccontare uno spaccato di vita dei migranti con
il quale gli italiani entrano difficilmente in contatto. " Da
bambino sognavo di diventare un cineasta e di poter partecipare al
Festival del Cinema Africano a Ouagadougou. Spero che il grande
sogno diventi realtà" dice il regista.
Faceva invece il giornalista Zakaria Mohamed Ali, costretto a
lasciare Mogadiscio dopo l'omicidio del suo maestro di giornalismo
e di altri colleghi. Per la prima volta nel ruolo di
documentarista, ha raccontato la storia di Dadir, ex calciatore
della nazionale somala. In Italia Dadir è costretto a fare la spola
tra Milano, dove vive in un centro d'accoglienza, e Roma, dove può
giocare a calcio con una squadra composta da altri somali. Non può
pagare il biglietto del treno. Così il viaggio è una lunga rincorsa
con i controllori che lo fanno scendere alla prima fermata. "Anche
se mi hanno fatto la multa quattro volte, sono qui per la Somalia"
dice ai compagni di squadra che lo aspettano con le sacche sportive
fuori dalla stazione Termini. "Mi dispiace per le occasioni perse
in Somalia - racconta Dadir nel corto - Da quando sono nato ho
vissuto solo 2 o 3 anni di pace. Qui non ho nessun valore, non
importa a nessuno che giocavo nella Somalia, vorrei vedere un
giorno anche il mio nome scritto su un muro". Il monologo fa parte
di una passeggiata per le strade di Milano e si ferma bruscamente
davanti a una scritta: "Seedorf non sei italiano, sei un negro
africano".
Il razzismo diventa il tema centrale del documentario firmato
dall'unico filmmaker esperto del gruppo di cinque autori: Dagmawi
Yimer, rifugiato etiope già noto per altri documentari di successo,
tra cui "Come un uomo sulla Terra". La telecamera di Yimer segue le
performance dell'attore senegalese Mohamed Ba, trapiantato a
Milano. L'attacco è ironico. Ba sottolinea di essere
"italianizzato" perché vive nel paese da 12 anni. "Ma un tronco
d'albero può stare in acqua per secoli e non diventerà mai un
coccodrillo" spiega Ba davanti ai bambini di una scolaresca. Con
l'attore afferriamo pillole di una vita a metà fra il Senegal e
l'Italia, profondamente segnata dal viaggio. "Mio nonno mi
accompagnò in aeroporto - dice Ba - e mi disse: caro nipote ti
auguro di fare un bel viaggio e di non rincorrere l'avere. Rincorri
il sapere perchè prima o poi sarai tu a dover gestire quello che
hanno trovato loro". Ma la cultura di Ba nulla può contro la
violenza che irrompe quando il 9 dicembre del 2008 un trentenne
italiano con la testa rasata lo accoltellà ripetutamente
all'addome, lasciandolo esangue alla fermata dell'autobus. Qui
comincia la parte più drammatica del corto "Una Relazione" di
Dagmawi Yimer. Un pugno nello stomaco per gli spettatori, una
riflessione breve e intesa sulle conseguenze del razzismo sulle
strade d'Italia.
Hevi Dilara, rifugiata curda, racconta la quotidianità di una
giovane coppia di curdi fuggiti dai processi politici in Turchia.
Abitano a Ercolano e hanno una bimba di pochi mesi, anche lei si
chiama Hevi. La mamma ha 8 processi in corso nel paese d'origine ed
è già stata condannata a 10 anni di carcere. Il loro dramma, di
essere bloccati in un limbo, si consuma giorno dopo giorno senza
che gli abitanti di Ercolano ne sappiano nulla. Angoscia per il
passato e allo stesso tempo speranza per la vita futura della
piccola Hevi si dischiudono solo davanti alla telecamera amica
dell'autrice del corto "Una vita per lei".
Angoscia è pure quella che arriva dal lungo sospiro di Nasir che
chiude il corto "Tanti auguri", girato dal rifugiato afgano Aluk
Amiri. Anche Nasir è un giovane afgano e compie 18 anni in un
centro d'accoglienza a Venezia. Da maggiorenne dovrà lasciare il
centro e non sa cosa sarà il futuro. Anche guardando indietro alla
vita di prima, nel passato non vede nulla. Nasir non ha più notizie
dei suoi genitori da quando ha lasciato l'Afghanistan, non sa se
sono vivi o morti. Non conosce neppure la sua lingua d'origine, non
sa leggerla né scriverla. Per questo, dice, in Italia gli piace
molto studiare. Lo studio era un sogno proibito in Afghanistan.
Attraverso gli occhi di Nasir e dei giovani afgani, il regista
Amiri compie un salto nel passato e rivive la sua esperienza del
viaggio a soli 15 anni fino in Italia. E un ragazzo racconta
davanti alla telecamera: "sono arrivato chiuso in un baule nel
cofano di una macchina di una coppia di turisti che non sapevano
nemmeno che io fossi lì".
Ironia, sofferenza, razzismo versus dignità umana. Sono racconti
brevi, semplici nel filmare la vita quotidiana ma densi di
riflessioni sull'Italia di oggi i cinque cortometraggi realizzati
da rifugiati politici di cui c'è stata l'anteprima alla Casa del
Cinema di Roma. Il 27 per la giornata della Memoria, "Benvenuti in
Italia" sarà proiettato in contemporanea in cinque città: Milano,
Roma, Napoli, Venezia, Verona. A formare i rifugiati sul
cinema documentario è stato l'Archivio delle memorie migranti,
grazie al sostegno di Open Society Foundations e Lettera27.
(rc)