Diritto all'oblio: lo chiede la Carta del detenuto
MILANO - Il diritto all'oblio è una delle novità contenute nella
Carta del detenuto, che le redazioni dei giornali carcerari hanno
steso con la collaborazione degli ordini dei giornalisti di
Lombardia. Emilia Romagna e Veneto. Il numero di giugno di Carte
Bollate pubblica il testo della bozza della nuova Carta. Quattro i
capisaldi: presunzione di non colpevolezza, misure alternative e
reinserimento sociale, tutela dell'immagine e della dignità di
detenuti e agenti di Polizia penitenziaria, diritto all'oblio.
Quest'ultimo sarà quello che farà più discutere: i detenuti
rivendicano il diritto a non essere ricordati continuamente per il
reato per cui sono stati condannati, soprattutto quando sono
passati anni dal suo compimento e "il fatto cessa di essere oggetto
di cronaca per riacquistare l'originaria natura di fatto privato".
Sono previste però delle eccezioni: nel caso di crimini contro
l'umanità o di fatti che hanno cambiato il corso della storia, come
lo stragismo, l'attentato al Papa, tangetopoli. "Qui non si può
parlare di diritto all'oblio perché i fatti non diventano mai
privati". La bozza sarà sottoposta ad altre revisioni nei prossimi
mesi. Quando sarà definitivo passerà al vaglio dei consigli
regionali dell'Ordine dei giornalisti. L'auspicio è che anche il
Consiglio nazionale dell'Ordine voglia adottarla, facendole
assumere così la veste di vera e propria regola deontologica di
tutta la categoria.
Presunzione di non colpevolezza. Nella Carta del
detenuto si ricorda ai giornalisti che "l'autore di un reato è
comunque una persona e gli va riservato un trattamento non lesivo
della sua dignità", con particolare attenzione a chi non ha ancora
subito una condanna definitiva "nei confronti dei quali deve sempre
essere applicato concretamente il principio costituzionale di non
colpevolezza".
Misure alternative e reinserimento sociale. Il
giornalista deve "usare termini giuridici pertinenti, non
approssimativi o scandalistici: affermare che un detenuto che
usufruisce di misure alternative è 'tornato in libertà' è una
notizia falsa e destituita di fondamento. Le misure alternative non
sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità, prevista per
legge, per l'esecuzione della pena". Inoltre, solo una minoranza,
circa il 20%, di chi usufruisce delle misure alternativo è
recidivo. Pertanto "si tratta di misure che aumentano la sicurezza
sociale e non di provvedimenti buonisti che la minano".
Tutela dell'immagine e della dignità. Non sempre
i detenuti conoscono i meccanismi dell'informazione e spetta
pertanto al giornalista assicurarsi che non sia sottoposto
inutilmente ad una gogna mediatica. Particolare attenzione bisogna
poi dedicare agli agenti di Polizia penitenziaria, che non possono
essere chiamati con appellativi quali "secondini", "guardie
carcerarie" o "agenti di custodia". Altri termini corretti sono
invece "poliziotti" o "personale in divisa".