I giornalisti: “L'informazione sociale esca dalla riserva indiana”
MILANO - Il sociale deve uscire dalla riserva indiana in cui è
confinato, schiacciato tra la politica, lo sport e la cronaca. In
base a quanto emerge dalle rilevazioni dell'osservatorio
"Infowatch", infatti, i quotidiani dedicano al sociale circa l'1%
delle loro pagine. "Ma non basta parlare di sociale, occorre
prestare attenzione anche al modo in cui se ne parla. Pensiamo al
dibattito sorto attorno al cinque per mille: nessuno ha raccontato
cosa si fa con quei soldi. Tutto il dibattito è ruotato attorno
alle questioni politiche", commenta Walter Passerini,
direttore della scuola di giornalismo dell'università Statale di
Milano, intervenendo all'incontro "La selezione (in)naturale delle
notizie" nell'ambito del seminario "Il tesoretto delle notizie"
organizzato dall'agenzia Redattore sociale (vedi lanci
precedenti).
Il sociale deve quindi affrontare la sfida (impegnativa) di
entrare a pieno titolo nell'agenda delle redazioni.
"Autoghettizzarsi e autocompatirsi è un pessimo modo per fare
informazione sociale -dice Giorgio Paolucci, caporedattore centrale
del quotidiano Avvenire-. Immigrazione, scuola, disabilità sono
temi che hanno una valenza trasversale. Non ha senso creare un
ghetto perché chi fa informazione sociale ha qualcosa da dire a
tutti". Per il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, il
sociale non è un tema "che fa paura". Non a caso da diversi anni la
pagina tre viene dedicata a reportage o inchieste che, nell'80% dei
casi trattano di temi sociali dall'Italia e dal mondo.
Per Alessandra Scaglioni, caporedattore di Radio 24, fare
giornalismo sociale significa "andare a rileggere la società, al di
là del fatto di cronaca o dell'emergenza. Per farlo però occorre
entrare dentro la complessità: i temi del sociale non possono
essere raccontati in maniera superficiale o errata. Occorre
approfondire". E per farlo ci vogliono le competenze, ci vuole
tempo e ci vogliono gli spazi. Elementi che incidono sulla
pianificazione del palinsesto tanto quanto i conti dell'azienda
editore: "La pubblicità si vende solo se ci sono buoni ascolti. E
questo non dobbiamo dimenticarlo, altrimenti non stiamo in piedi",
puntualizza Scaglioni.
"Se non ci fossero spazi dedicati, come le due pagine tematiche
che escono due volte a settimana sul Corriere, non avremmo modo di
raccontare in maniera approfondita e continuativa alcune storie
legate al mondo del sociale e del non-profit -commenta Ugo Savoia,
caporedattore cronaca del Corriere della Sera-. È venuta a galla
una realtà ricca che non conoscevamo. Una bella sorpresa che ci fa
ben sperare e che ci ha dato soddisfazione". (is)