Nuti in tv, “per l’80% solo spettacolarizzazione della disabilità”
MILANO - C'è chi la chiama con spregio "tv del dolore", chi
preferisce celarsi sotto la dicitura della "televisione verità". Di
certo portare le sofferenze delle persone davanti allo schermo
divide sempre pubblico e critica. E l'ultimo episodio della serie,
l'intervista a Francesco Nuti di Barbara D'Urso nella trasmissione
"Stasera che sera!" ha portato con sé una scia di polemiche, che
hanno causato la chiusura del programma già penalizzato da ascolti
molto bassi. A tre settimane dalla messa in onda della puntata
l'Osservatorio nazionale sulla Comunicazione e la Disabilità,
promosso dalla Fondazione dell'Università Iulm di Milano, ha
diffuso i dati di un instant poll svolto nei giorni seguenti la
trasmissione. Una ricerca nata dalla volontà di misurare le
reazioni del pubblico rispetto alle modalità di rappresentazione
della disabilità nei media.
Secondo i dati il 39% dei partecipanti ha visto l'intervista
durante la sua emissione. Di questi la maggioranza (44,4%) l'ha
seguita integralmente mentre il 30,6% ha cambiato canale dopo meno
di 5 minuti. Chi invece non ha avuto modo di vedere in diretta
l'intervento di Francesco Nuti ne ha sentito parlare e si è
informato nei giorni seguenti principalmente tramite web (30,8%).
Più del 57% di chi non ha visto l'intervista in tv ne ha comunque
sentito parlare o si è informato a riguardo. Entrando maggiormente
nei contenuti e nelle reazioni provocate, il 61,5% non ritiene
corretto aver invitato Nuti alla trasmissione. Un dato che deve
essere analizzato sia rispetto alla cattiva gestione della sua
presenza (testimoniata dalla risposta sulla qualità della
conduzione che è stata considerata negativa nel 79% delle risposte)
sia nell'opportunità di far intervenire in quel contesto e con
quelle modalità un personaggio nella condizione di Francesco Nuti.
Quello che infatti appare dalle risposte è che le principali
emozioni provocate nei telespettatori e in chi ha seguito la
vicenda sono (in queste domande era consentita la risposta multipla
max 2 risposte) la compassione e la malinconia (entrambe al 28,
6%), il fastidio (26,7%) e la partecipazione al dolore (25,7%). La
rappresentazione fondata su una comunicazione fortemente emotiva e
compassionevole ha coinvolto la maggior parte delle risposte
(60,5%). Il giudizio finale degli intervistati sulla partecipazione
dell'attore alla trasmissione è quindi negativo, legato alla sua
condizione di difficoltà al fine di aumentare l'audience del
programma e della spettacolarizzazione della sua condizione.
Sommando i risultati delle due risposte si raggiunge quasi l'80%
(spettacolarizzazione del dolore, sfruttare la presenza di un
personaggio disabile per aumentare l'audience). Risulta ancora
limitata la percentuale di messaggi ritenuti positivi dai soggetti
intervistati sulla disabilità o corretti spunti di informazione e
di analisi del tema.
La ricerca è stata svolta attraverso la somministrazione di un
questionario on line anonimo di 7 domande, a risposta singola e
multipla, compilabile direttamente tramite web. Il questionario è
rimasto on line da lunedì 24 gennaio a domenica 30 gennaio ed è
stato compilato da 284 persone. "Ancora una volta - sostiene
Maurizio Trezzi coordinatore dell'Osservatorio sulla Comunicazione
e la Disabilità - si è persa un'occasione per portare in un prime
time televisivo una nuova rappresentazione delle persone disabili
che da un lato non li utilizzi come espedienti per alzare
l'audience e, dall'altro, racconti e spieghi in maniera
giornalistica, cronicistica e oggettiva la loro condizione perché
questa diventi argomento di approfondimento e riflessione sulla
tematica non basata esclusivamente sulla drammaticità e la
pietà". Elementi che non sono più quelli che andrebbero
utilizzati in questo tipo di trasmissioni e di programmi. "Quelle
che è mancato, come si rileva dalle riposte fornite al questionario
- commenta Vincenzo Russo, direttore scientifico dell'Osservatorio
- è una gestione dell'intervento maggiormente orientata
all'esplorazione della realtà della disabilità secondo quanto
previsto dalla Convenzione internazionale dei Diritti delle persone
con disabilità. Credo che oggi occorra, e i telespettatori
evidentemente lo chiedono con più frequenza, centrare maggiormente
l'attenzione sul racconto, sull'esperienza vissuta dalla singola
persona con disabilità per arrivare a fornire una rappresentazione
che avvenga attraverso il riferimento a casi di vita vissuta, a
vicende personali legate alla quotidianità e ai mille piccoli e
grandi problemi che hanno le persone con disabilità come tutti,
senza che questi siano coinvolti, da un lato su raccolti
eccessivamente spettacolarizzati, faccio riferimento al mito
del super disabile capace di raggiungere obiettivi inavvicinabili
per la maggior parte (come per esempio Oscar Pistorius),
oppure snaturati rispetto al loro contesto". (ec)