Dondero: “Sono nato uno che guarda”

28nov2011

Al seminario di Capodarco il ''maestro'' della fotografia. 'Non mi interessa l'estetica, ma la denuncia sociale''. E sul digitale: ''E’ democratico, ma le miserie è meglio fotografarle in bianco e nero''

CAPODARCO - Mario Dondero, classe 1928, fotografa da 60 anni e vive glocal, in vicolo Zara a Fermo, nelle Marche, dove torna dai viaggi nel mondo. La sua foto più celebre è stata scattata a Parigi alla fine degli anni '50 agli scrittori del Nouveau roman. Quella che ritiene la ''migliore in assoluto'' è la foto dei prigionieri del conflitto algero-marocchino. E sono altrettanto indimenticabili le immagine mai scattate, come quella a Chagall quando aveva solo 23 anni. In questi anni, man mano che la sua fama di fotoreport cresceva, lo hanno definito in molti modi: il fotografo ''partigiano'', l'intellettuale dell'immagine, persino, come ha ricordato Massimo Raffaeli nel presentarlo al seminario di Capodarco, una ''leggenda vivente'', ma lui semplice spiega: "C'è qualcosa che è innato, uno riceve guardando il mondo. Io non ho imparato. Sono nato uno che guarda''. Per Dondero una foto vale mille parole, ''con una foto si può andare al di là di quello che si può fare con le parole''. E quello che lo interessa del suo mestiere è la ''funzione" dell'immagine''.

Per stare al tema del seminario, Dondero ha sottolineato come il digitale porti alla bulimia e ha stigmatizzato "l'ardita ferocia" con cui i i fotografi operano, accalcandosi per "razziare la faccia di una persona". Ma ''il digitale - ha anche detto - è democratico, costa meno e tutti posso diventare fotografi. Trovo però che le storie, i drammi, le miserie è meglio fotografarle in bianco e nero. Il bianco e nero è fonte di poesia''. Sollecitato da Raffaeli sul "come", Dondero ha spiegato: ''Non mi interessa l'estetica ma il contenuto delle foto, la denuncia sociale. Non sono affatto contro il senso estetico, ma non deve uccidere la denuncia. Questo Robert Capa lo ha scritto in modo radicale: raccontare le cose come sono. Io sono infastidito da troppo sperimentalismo, che si allontana dal racconto vero. I giovani fotografi oggi non pensano alla foto ma alla mostra e le storie non ci sono più". (cch)

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