Natale: "Informazione forcaiola". “Censura” dell’Ordine a un giornalista del Giornale
ROMA - Aveva scritto che bisognava rispedire al mittente "la
feccia rumena" in un articolo del 2009 pubblicato su "Il Giornale".
Per queste espressioni xenofobe, il giornalista Paolo Granzotto,
iscritto all'Ordine del Lazio, ha ricevuto nei giorni scorsi la
sanzione della censura che viene inflitta "nei casi di abusi o
mancanze di grave entità" e "consiste nel biasimo formale per
la trasgressione accertata". A denunciare Granzotto all'Ordine dei
giornalisti era stata una reporter di origine romena che fa parte
dell'Associazione nazionale stampa interculturale (Ansi). Tuttavia,
la decisione non è stata resa pubblica, nemmeno sul sito
dell'Ordine laziale. Roberto Natale, presidente della Federazione
nazionale della stampa italiana, ha ricordato la vicenda al Salone
dell'editoria sociale, nel corso della presentazione del secondo
libro bianco sul razzismo in Italia, dal titolo "Cronache di
ordinario razzismo", a cura dell'associazione Lunaria. Commentando
l'opera che muove critiche molto dure ai giornalisti italiani in
tema di razzismo, Natale ha parlato di "spettacolarizzazione delle
notizie sugli stranieri con connotazione negativa", "di omissione
di importanti notizie" e di "informazione forcaiola". L'Fnsi
promuove da mesi la campagna "LasciateCientrare" che ha visto anche
Redattore Sociale in prima linea per chiedere l'accesso della
stampa ai centri di detenzione e a quelli di accoglienza per
migranti, vietato da una circolare del ministro dell'Interno
Roberto Maroni. "I Centri di identificazione e di espulsione sono
un problema di diritti dei migranti e di diritto dei cittadini a
essere informati - ha detto il presidente dell'Fnsi - è però anche
un gigantesco problema di costi non motivati e di sprechi del
denaro pubblico".
Il 2011 è stato l'annus horribilis del razzismo in
Italia, con il picco di casi sia tra la gente comune sia tra le
istituzioni, secondo il monitoraggio effettuato da Lunaria, che va
a colmare il vuoto delle statistiche ufficiali. "Questa impennata è
legata allo spauracchio degli sbarchi e della cosiddetta invasione
islamica" ha spiegato Paola Andrisani, la ricercatrice che ha
curato il monitoraggio. I casi erano tantissimi, circa un migliaio,
ma solo 255 sono finiti nel volume, come rappresentativi di quello
che avviene nelle pieghe dell'Italia nascosta all'opinione
pubblica. I mass media sono i primi imputati. "Il razzismo è una
terribile semplificazione, un gioco ad avere un capro espiatorio e
un nemico, con un linguaggio bellicoso e ostile" ha commentato
Franca Di Lecce, della Federazione delle chiese evangeliche.
"La stampa mainstream anche progressista continua a
chiamare centri di accoglienza quelli che sono i
lager di stato - ha spiegato l'antropologa Annamaria Rivera - si
legge anche di 'etnia cinese', un miliardo di persone diventa
incredibilmente un'etnia. Manca uno strumento per sanzionare chi
usa questo linguaggio". A margine dell'incontro Grazia
Naletto, presidente di Lunaria, inquadra così la battaglia di
parole: "In Italia c'è un senso comune che ancora ritiene che il
razzismo non esiste. Senza cadere nell'errore opposto di
generalizzare, bisogna dire che la società italiana non è razzista
ma c'è una preoccupante diffusione del razzismo e della
xenofobia".
Dopo la pulizia etnica di Rosarno nel 2010, una nuova pagina nera
ha segnato l'anno in corso: Lampedusa. Ancora una volta, i
reportage dei mass media sono al centro del dibattito per le
conseguenze sociali della cattiva informazione. "La grande simpatia
nei confronti della primavera araba si ferma a quando i
protagonisti sono rimasti a casa loro, perché quando hanno preso il
mare per venire in Italia le cose sono cambiate" ha detto Maria
Silvia Olivieri, una delle autrici del libro bianco e responsabile
comunicazione del Servizio di protezione per rifugiati e
richiedenti asilo (Sprar). "I media sono stati al servizio della
scelta governativa di svilire la dignità delle persone - ha
continuato - abbiamo visto immagini di persone ammassate come
animali a dormire sul molo e ci siamo chiesti perché non venissero
trasferiti nei centri di accoglienza governativi che sapevamo
essere disponibili. Si voleva fare un'operazione Napoli a
Lampedusa, come per la spazzatura". Olivieri ha sottolineato che
"c'è stata una costruzione scientifica di un nemico mentre nel
frattempo la gente moriva in mare. I connazionali delle vittime
hanno riferito che gli è stato perfino impedito di intervenire nel
riconoscimento delle salme, nessuno si chiede cosa ne è stato di
questi cadaveri rimasti senza nome". (rc)