Donne e welfare, in Italia tanti errori e poca chiarezza
CAPODARCO DI FERMO - Tanti errori e poca chiarezza esistono
ancora in Italia in merito a donne e welfare. E' quanto emerso dal
workshop intitolato "Se la società diventa meno maschile", che si è
svolto nell'ambito del 17° seminario di Redattore Sociale "Oltre
l'apocalisse" sabato scorso a Capodarco di Fermo. A sostenerlo è
Isabella Menichini, dirigente del comune di Parma dell'Area servizi
alla persona e alla famiglia (e in passato collaboratrice del
ministero del Welfare), che ha illustrato gli stereotipi da
smontare.
"Il primo errore che si fa - ha spiegato Manichini - è la
commistione tra politiche per le donne e politiche per la famiglia.
In Italia siamo abituati a ragionare come se fossero un'unica
questione, invece non è così, perché si tratta di due cose diverse.
Questo avviene in parte per abitudine e in parte per scarsa
consapevolezza". Un esempio lampante di questa commistione
sbagliata è l'iniziativa di Trenitalia "Frecciarosa", che ha
scatenato polemiche recentemente. Si tratta della possibilità per
le donne di viaggiare gratis se accompagnate. "Questa iniziativa -
ha osservato Menichini - è stata venduta come un'agevolazione per
le donne, che invece l'hanno giudicata discriminatoria, invece
avrebbe dovuto essere venduta invece come un'iniziativa per la
famiglia, come uno sconto per poter viaggiare insieme".
Un altro esempio è quello del Programma di azioni per l'inclusione
delle donne nel mercato del lavoro presentato dal ministro delle
Pari opportunità Mara Carfagna nel dicembre 2009 con l'obiettivo di
favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro. "Anche in
questo caso - ha detto la dirigente - c'è stato un errore a causa
del mancato approfondimento, perché le misure contenute in quel
piano, come le tagesmutter, le badanti o i voucher per i servizi,
in realtà non sono per la donna, ma per la famiglia".
Ancora sul piano degli errori, Menichini ha parlato dell'approccio
problematico alla maternità nel mondo del lavoro: il 76% del top
management pensa infatti che la maternità sia un inconveniente per
l'azienda. E secondo l'Isfol, prima di avere un figlio lavorano 59
donne su 100, mentre dopo solo 43. Come se non bastasse, nel nostro
paese è molto diffusa la lettera di dimissioni in bianco che viene
fatta firmare alle donne al momento dell'assunzione. "Questo è un
segnale di arretratezza culturale sconfinata - ha commentato
Menichini - . Di recente si sta iniziando a smontare questo luogo
comune con degli studi che dimostrano che i costi della maternità
per le aziende sono irrisori e che semmai il vero problema è la
riorganizzazione del lavoro. Allora la sfida è quella di cambiare
l'approccio problematico alla maternità assumendola come un
beneficio per l'azienda e per la lavoratrice".
Un ultimo errore da sfatare è la convinzione che il lavoro
domestico sia una competenza innata della donna. Ne è un esempio
clamoroso la pubblicità del panno Swiffer, in cui una gigantesca
palla di polvere suona alla porta di casa di una coppia, il marito
va ad aprire la porta e dice: "Cara, è per te". Per Menichini, è
"impressionante quanta ignoranza passi da un messaggio del genere,
che però in Italia, a differenza degli altri paesi, trova terreno
fertile".
Insomma, ha concluso Menichini, in Italia, l'aspirazione di
arrivare a una conciliazione dei tempi di vita e lavoro che sia
condivisa da uomini e donne non c'è ancora e nel frattempo il
grande capitale intellettuale delle donne viene relegato tra le
mura domestiche. Con il risultato che le donne non sono libere di
scegliere e il modello di società rimane bloccato.
A seguire, l'intervento di Elena Sisti, economista e autrice di
"Le donne reggono il mondo" (Altreconomia), ha messo in luce come
il cambiamento culturale di cui c'è bisogno possa partire proprio
dalle donne. Ed è paradossalmente la crisi a fornire una grande
occasione: "La crisi - ha spiegato Sisti - ha messo in discussione
gli assoluti degli ultimi 20 anni. Oggi le donne possono portare la
relazione all'interno dell'economia, che non può più occuparsi solo
di salari, capitali, rendimenti. Le donne possono dare valore al
benessere, che è più importante della massimizzazione dei profitti.
Le donne possono far passare l'idea che le cosiddette 'cose da
donne' hanno la stessa importanza delle infrastrutture nella
società".
Due indicazioni: ripensare il Pil, che sottovaluta
sistematicamente il lavoro svolto dalle donne e capire che il nodo
vero dell'Italia è che il welfare è basato sul lavoro di cura
gratuito e volontario fornito in maggior parte dalle donne. "Il mio
sogno - ha concluso - è che un giorno il ministero del Welfare
abbia la stessa importanza di quello dell'Economia".