Giornalisti minacciati e sfruttati in Calabria, “nuovo fronte di guerra”
CAPODARCO DI FERMO - Fare i giornalisti nel "nuovo fronte
di guerra del 2010, la Calabria". Di questo si è discusso nel corso
del 17° seminario di Redattore Sociale "Oltre l'apocalisse", che si
è concluso ieri a Capodarco di Fermo. Ospite Antonino Monteleone,
uno dei cronisti minacciati dalla 'ndrangheta per le inchieste su
Reggio Calabria che ha pubblicato nel suo blog, intervistato da
Raffaella Cosentino, collaboratrice di Redattore Sociale e autrice
di un e-book, "4per5" sulle intimidazioni ai giornalisti calabresi
e sullo sfruttamento (scaricabile sul sito di TerreLibere).
"I giornalisti in questo momento sono la categoria più sfruttata
sul lavoro - ha detto Cosentino - e questa situazione è esplosa nel
caso delle intimidazioni. E' emblematico il caso di Angela Corica,
corrispondente di 'Calabria Ora' dalla piana di Gioia Tauro, la cui
auto è stata crivellata con 5 colpi di pistola per aver scoperto in
una sua inchiesta che i rifiuti della raccolta differenziata
venivano bruciati". I problemi sono due: il primo è che Angela
Corica lavorava per 4 centesimi al rigo e il secondo è che la gente
l'ha incolpata di aver fatto qualcosa più grande di lei. "Il
sindacato dei giornalisti a livello nazionale - ha aggiunto
Cosentino - ha difeso i giornalisti, ma livello locale ha detto che
non bisogna enfatizzare le intimidazioni e ha ospitato un
editoriale sul suo sito dal titolo 'La manifestazione 'No
'ndrangheta' pubblicizza la 'ndrangheta".
Antonino Monteleone, che oggi lavora per la trasmissione di La7
Exit ha raccontato poi in prima persona le minacce che ha
subìto: il 5 febbraio del 2010 la sua auto è stata incendiata per i
suoi articoli che hanno coinvolto i boss. Nel giro di 6 mesi la
magistratura ha trovato i responsabili, ovvero affiliati al clan
Serraino. La "colpa" di Monteleone è stata quella
di ricostruire minuziosamente sul suo blog informazioni
che hanno dato fastidio alla 'ndrangheta: un intreccio pauroso e
complessissimo tra imprese, clan, magistratura, massoneria.
Così Monteleone ha spiegato la situazione dei cronisti in
Calabria: "I giornalisti non sono liberi perché hanno
stipendi, quando li hanno, da fame. I giornali in Calabria si
reggono su contributi che arrivano dagli enti territoriali, ovvero
la pubblicità istituzionale e poi su tre grandi fonti di raccolta
pubblicitaria che sono le concessionarie di auto, i grandi centri
commerciali e i supermercati. Il problema è che la maggioranza dei
centri commerciali sono in mano alla criminalità organizzata. E
questo è un grosso freno. Quando ci sono le eccezioni, cioè
giornalisti liberi, che diventano bersagli del potere criminale, si
mette in imbarazzo l'editore e si diventa disoccupati. Il dramma è
che questo non fa notizia a livello nazionale, ma resta confinato
nelle cronache locali".
Sconcertante il quadro tracciato sulla situazione della regione:
"Le bombe contro i palazzi delle istituzioni, le intimidazioni, non
sono neanche la punta dell'iceberg del corto circuito che esiste in
Calabria tra potere criminale, potere economico e politico, dove la
'ndrangheta ha un giro di affari di miliardi di euro, ai livelli di
una manovra economica".
Reggio Calabria è ora come Palermo prima delle stragi del
1992? "Mi auguro di no - ha detto il giornalista, spero che
Reggio non sia un fronte dove si sta per far fuoco contro
magistrati e giornalisti. Io non credo che la 'ndrangheta sia
un'organizzazione così suicida, non lo può essere perché la
'ndrangheta ha bisogno di qualcosa dalla politica, ma anche la
politica ha bisogno di qualcosa dalla 'ndrangheta".
Alla domanda sul perché la situazione calabrese sia importante per
tutta l'Italia ha riposto così: "La Calabria è la regione che negli
ultimi 15 anni ha assorbito più risorse pubbliche da Stato e Ue, e
dove si consumano le più grandi speculazioni energetiche e
contributive sistematicamente. Ma la soluzione non è quella del
ministro Brunetta e dei teorici della secessione che si dimenticano
sempre di dire che in Calabria il tasso di occupazione pubblica è
tale che il gettito fiscale è sicuro e diverso dalle decine di
migliaia di partite Iva che al Nord evadono le tasse. Il sistema
calabrese in piccolo fa capire che il corto circuito è nazionale.
Per questo bisogna stare attenti a quello che succede in
Calabria".