III Seminario Redattore Sociale 8-10 Novembre 1996

Periferie umane

Il negro

Intervento di Franco Pittau

 

Franco Pittau - responsabile Centro Studi Caritas, Roma*

Il negro (1)

Immigrazione: i dati e i luoghi comuni

Ho chiesto a Stefano Trasatti di venire con Teodoro Ndjock Ngana. Perché questo? Perché ci siamo dati la regola che, quando si parla di immigrazione, è bene senz'altro vedere una faccia della medaglia, che consiste nel punto di vista di un italiano, e però è giusto vedere anche l'altra faccia. Allora lavorare con una spalla come Teodoro mi ha dato più serenità. L'altra cosa che mi ha dato serenità è che il mio intervento è di natura statistica: devo riferire sul lavoro che facciamo in tanti e con tanto impegno. Vi voglio dire alcune cose che vorrei avere, dal mio punto di vista, come operatore, da un redattore, da un giornalista, perché non credo che, parlando di immigrazione, tutte le cose vengano riferite bene.
Il titolo di quest'oggi è "Il Negro". E' giusto o sbagliato? Poi Teodoro vi dirà cosa ne pensa. E' giusto, perché evidenzia dei problemi che ci sono. Indubbiamente è diffusa una certa avversione, anche per motivi di razza. Chi ha la pelle nera è più sfortunato. Per esempio si dice: "Ah, è orientale?  Interessante". Quando si dice "E' nero", purtroppo non capita così.
Voglio subito iniziare con un dato, per mostrarvi quanto questo sia vero. Nel "Dossier statistico sull'immigrazione '96" trovate un capitolo dedicato agli episodi di violenza. Nel 1995 sono stati 301 e hanno coinvolto 412 immigrati: ebbene, gli africani hanno rappresentato il 63% delle vittime. Chiaramente c'è una violenza razzista, sempre condannabile, che però è più violenta nei confronti dei negri, degli africani.
Africano vuol dire sia una persona che ha la pelle nera, sia una persona che è musulmana; abbiamo tutta la fascia del nord Africa dove c'è un'altra differenza, non tanto di colore ma di religione. C'è un acceso razzismo di tipo religioso anche da parte di chi non crede in Dio, il che mi farebbe un po' sorridere, se non fosse drammatico. Trovate della gente che si professa atea, che non va mai in chiesa, che però è contro gli immigrati perché loro non sono della nostra religione; ciò non ha né capo né coda.
Quindi il titolo è giusto, perché evoca subito questi due problemi, però è sbagliato perché in fondo gli africani non sono la maggior parte della nostra immigrazione. Se noi prendiamo l'immigrazione che è avvenuta in Italia dal 1980 sino ad oggi, vediamo che europei e americani sono aumentati due volte e mezzo in 15 anni, gli africani sono aumentati nove volte e gli asiatici sono aumentati quattro volte. Questo a partire dal 1980. Invece dal 1990 sino ad oggi vediamo che gli europei sono aumentati del 54%, gli africani del 12%, gli asiatici del 13% e gli americani del 19%. Allora quando ci sentiamo oppressi, ci sentiamo oppressi da persone che sono omogenee alla nostra cultura, cioè da europei e da americani.
Prendiamo l'ultimo anno. Il confronto tra i dati al 1996 e quelli al primo gennaio '95 dà questi risultati. Gli europei dell'Est aumentano del 16%, quelli dell'America latina del 10%, quelli dall'estremo Oriente del 31% (qui è compresa la forte percentuale di filippini, una comunità molto consistente in Italia) e quelli dall'Africa aumentano solo del 2%. Sotto questo aspetto ci sentiamo invasi da quelli che premono di meno, il che è una cosa assurda.
Molte volte, a livello giornalistico, se si avesse la pazienza di fare questi ragionamenti quanto mai semplici, si sconfiggerebbero fin dall'inizio pregiudizi, stereotipi, paure. Volevo richiamare l'attenzione su alcune cose che non dovrebbero capitare e che grazie al vostro aiuto potranno senz'altro essere evitate. Noi della Caritas e di altre associazioni, anche di immigrati, interveniamo molto nella scuola, perché ritieniamo che la formazione sia importante per evitare questi trabocchetti. Crediamo, con pari convinzione, che anche l'informazione sia veramente importante per evitare gli stessi tranelli. Partiamo dal presupposto che i numeri sono delle armi. Le armi possono servire sia per difendersi, sia per offendere: il più delle volte purtroppo servono per offendere. Con uno sforzo comune le possiamo trasformare in un mezzo per difendere gli immigrati, per presentare la verità così come veramente è.

L'autocommiserazione

Quali sono i difetti nei quali possiamo incorrere di più? Innanzitutto c'è il complesso diautocommiserazione. Avevo portato qualche esempio di giornali per vedere come il giornalista, che sarebbe il servitore della verità e della correttezza della notizia, certe volte faccia degli strafalcioni che si fa fatica a perdonare. Non tutti i giornalisti, a dire il vero. Ma c'è anche chi lo fa ad arte e questo è ancora più grave. Ritornando al complesso di autocommiserazione, vediamo che spesso sui giornali si dice che l'Italia ormai ha una comunità d'immigrati "veramente consistente, anzi enorme". E qui bisogna mettersi d'accordo. Quando uno dice "di più", deve prendere un termine di riferimento. Invece, se noi prendiamo un termine di riferimento, vediamo che l'affermazione è falsa: non corrisponde ai fatti. Nel mondo, secondo le stime dell'Onu, ci sono 105-110 milioni di immigrati (non-nationals). Qualche volta si dice 120 milioni di immigrati: mettiamo 100 milioni per facilitare il confronto. Su 100 milioni di immigrati, noi ne abbiamo in Italia poco più di un milione, mentre vi sono 5 milioni di italiani emigrati all'estero, che conservano la cittadinanza italiana; quindi il rapporto è di uno a cinque. Per attenuare la sproporzione, si dice che però gli italiani sono bravi. Sottolineo questa stupidaggine: noi siamo come tutti gli altri popoli, bravi e cattivi insieme. Quindi vi pregherei, nei servizi che fate, se trovate questo tipo di giudizio, sconfessatelo, perché è falso. Tutto sommato abbiamo un peso migratorio che è molto meno consistente rispetto al fatto che siamo una grande nazione e una nazione ricca.

La sindrome dell'invasione

Un altro complesso è  quello dell'invasione. Dicono: "Sì, in Germania sono andati, però piano piano, in Francia sono andati, ma piano piano, in America...". E' un'altra falsità. In America, ad esempio, vanno ogni anno circa un milione di immigrati. Però fermiamoci all'Italia. E' vero che in Italia è in atto un'invasione? No, non è vero. Lo possiamo dire con la massima serenità, perché dal '90 ad oggi abbiamo avuto tassi di crescita all'incirca del 5% e percentuali di aumento tra 50 e 70mila persone l'anno, che secondo gli specialisti (ad esempio il prof. Antonio Golini, presidente dell'Istituto per la ricerca sulla popolazione) sono basse, perché un tasso fisiologico di crescita poteva essere benissimo di 100.000 persone l'anno. Mi sono permesso di dire che i tassi d'aumento sono sotto-fisiologici, perché in Italia vi sono circa 350.000 persone sposate e solo un quarto di queste vive con i loro figli; parte di queste, poi, non ha vicino a sé la moglie o il marito. Uno se si sposa, se ha dei figli, suppongo che voglia vivere con loro. Questo non vuol dire che bisogna aprire e lasciare entrare tutti. Sarebbe una stupidaggine che non serve a niente. Tuttavia, quando si dà un giudizio sul tasso di crescita della popolazione, bisogna riconoscere che quello degli anni '90 tutto sommato è accettabile.

La paura dell'oscuro

Un altro complesso è quello dell'oscuro, di ciò che non appare. Capita anche questo. Quando si era chiusa l'ultima sanatoria, avevamo fatto un piccolo dossier che conteneva varie cose interessanti. Ci arrivarono più telefonate di giornalisti per chiedere quanti e chi erano quelli che restavano fuori dalla regolarizzazione, di quelle che chiedevano quanti e chi fossero quelli che si erano regolarizzati. Eppure c'erano delle cose estremamente importanti da conoscere. Per esempio: da quali Paesi venivano, in quali settori lavorativi si erano inseriti: una miniera di notizie per capire come si compone il mercato del lavoro. Forse l'immigrazione fa paura. Io non sono uno psicologo e non saprei come spiegarlo. Però probabilmente dovremmo rifletter tutti e chiederci se non ci sia un lato inconscio che ci fa paura e qualche volta ci disturba nel nostro lavoro professionale.

Immigrato = delinquente

Un'altra tendenza consiste nel fare dell'immigrazione un capro espiatorio. Per esempio, si parla di "immigrato come delinquente". Non so se Teodoro, che mi sta vicino ed è un immigrato, sia più delinquente di me; non ho un misurino e non lo sa neppure lui. Neppure le statistiche esistenti permettono di arrivare a delle conclusioni attendibili. Gli addebiti giudiziari che riguardano gli stranieri non permettono di distinguere tra quelli che sono residenti e quelli che sono di passaggio. Quindi se un mascalzone viene qui senza permesso di soggiorno e viene imputato sette o otto volte, trasmette i suoi addebiti come un virus a tutta la gente seria che vive da noi col permesso di soggiorno e che non ha fatto niente. Da un documento interno della polizia che avevo sbirciato, gli addebiti giudiziari nel 1994 riguardavano solo, tra un quinto e un sesto, gli stranieri residenti e per i restanti 4/5 o 5/6 i non residenti. Già questo sgonfierebbe completamente il problema della criminalità. Inoltre non si possono fare paragoni, perché non ci sono gruppi omogenei di confronto. Noi dovremmo prendere uno sposato e confrontarlo con uno sposato, uno di vent'anni con uno di vent'anni, le donne con le donne, gli uomini con gli uomini; tutto questo non si fa. Ci sono stati degli illustri cattedratici, ad esempio la professoressa Gemma Marotta dell'Università La Sapienza di Roma, che hanno detto: non tirate queste conclusioni, perché sono false. 

Ladri di lavoro

Un'altra tendenza a fare dell'immigrazione il capro espiatorio è basata sul mercato del lavoro. Si dice che vengono per rubarci il posto di lavoro. Con i dati statistici che abbiamo, questo non si può dimostrare. Alcuni specialisti dicono che nel Nord questo pericolo non esiste e che nel Sud può esistere solo parzialmente. Non si tratta tanto di rubare il posto a un italiano; può capitare anche questo. Più in generale l'effetto negativo può incidere sulle condizioni di trattamento economico.  Ad esempio, se in agricoltura lavora più gente, allora diminuiranno i salari. Dalle statistiche vediamo che solo un terzo degli immigrati è disoccupato da più di un anno e fra questi ci sono molti che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro: ad esempio, mogli che prima non avevano il permesso di soggiorno per motivi di ricongiungimento familiare, figli che sono giunti da poco all'età lavorativa. Questo vuol dire che la maggior parte degli immigrati lavora in segmenti del mercato occupazionale precario, per lo più stagionali: lavorano per quattro mesi, poi perdono il posto; stanno tre mesi disoccupati, poi trovano un altro posto di sei mesi, poi stanno ancora quattro mesi disoccupati e così via.

Il degrado a scuola

Un altro complesso è quello del degrado a scuola portato dagli studenti stranieri. In questo settore noi siamo così bravi da degradarci per conto nostro, senza che sia rilevante il riferimento a questa percentuale ancora limitata di stranieri presenti nelle nostre scuole. Lavorando con tanti amici stranieri come Teodoro, e girando anche in altre parti d'Italia, ho acquisito la convinzione che il fatto che siano presenti altre culture è una potente forza di rinnovamento nella scuola italiana. Anche il Ministero della Pubblica istruzione ha emanato delle circolari molto illuminanti al riguardo. Questa nuova presenza è un fattore di ricchezza e non di degrado, anche se all'inizio i nuovi venuti devono superare l'impatto di una lingua e di una società diverse.

Attenzione alle citazioni

Si richiede attenzione per evitare le citazioni a vanvera. Vi faccio solo due esempi per constatare come possano cambiare le cose. Le statistiche del Ministero dell'Interno, che sono quelle più organiche e più ampie, vengono ricavate dai permessi di soggiorno. Siccome le questure non hanno una funzione statistica, l'Istat, dal 1991, si è assunto il compito di rivedere le statistiche del Ministero, individuandovi un tasso di approssimazione tra il 20 e il 30%. Quindi, su un milione di permessi di soggiorno, non sbagliamo se ne togliamo almeno 200.000; infatti le questure non fanno in tempo a sopprimere i permessi scaduti e neppure a inserire quelli nuovi. L'Istat controlla tutti i permessi al 30 giugno dell'anno successivo ed è in grado di scoprire il tasso di approssimazione dei numeri ufficiali. Quando nel passato, prima che ci fosse la regolarizzazione, noi dicevamo: "Gli stranieri saranno sì e no un milione", ci rispondevano: "Sì, e gli irregolari?". Invece dalla nostra parte avevamo il discorso delle statistiche del Ministero approssimative per eccesso.
Un'altra curiosità di questo tipo di fonte (Ministero dell'Interno) è che non registra a parte i minori. Ad esempio - dico a te Teodoro - se tua figlia Angelica fosse venuta dal Camerun con te, non sarebbe stata registrata nel tuo permesso di soggiorno e quindi Angelica, per la statistica, non esisteva. Abbiamo poco meno di 40.000 minori, però pensiamo che siano un po' più del doppio, perché sono circa 90.000 i genitori che hanno dichiarato di essere in Italia con i loro figli. E' vero che qualche volta marito e moglie dichiareranno di avere lo stesso bambino, però è anche vero che qualche coppia avrà due bambini; quindi non ci allontaniamo dalla verità se pensiamo che in Italia ci siano 90-100 mila minori. 
Esaminiamo anche un'altra fonte, il Ministero del Lavoro. Questo Ministero produce delle cose molto interessanti ma, per un particolare aspetto, approssimative. Quando gli immigrati vanno a registrarsi come disoccupati si chiede loro il titolo di studio e quelli solitamente rispondono: "Nessuno". Perché se dicessero: " Ho la licenza liceale", allora si sentirebbero dire: "Sospendiamo la pratica, mi porti il diploma che ha conseguito nel suo Paese. Si ricordi di farlo vidimare dall'autorità diplomatica o consolare. Poi provveda alla dichiarazione di equipollenza e torni qua che lo registriamo". Se ad un immigrato dite così, lo deprimete. Ecco perchè rispondono di non avere nessun titolo di studio. Le statistiche del Ministero del lavoro, a differenza di altre indagini, fanno apparire gli immigrati più ignoranti di quello che veramente sono, proprio per questo motivo burocratico. 
Noi a Roma abbiamo un Osservatorio dell'immigrazione che ogni anno registra circa 10.000  presenze, quindi è molto ampio e molto attendibile. Ve ne sono altri a Milano e in altre parti d'Italia; secondo i dati di queste strutture, la scolarizzazione degli immigrati è molto più elevata.

Le marmellate terminologiche

Un'altra cosa sulla quale voglio richiamare l'attenzione sono le marmellate terminologiche, che possono far nascere molti inconvenienti. Ricordiamo che le statistiche possono riferirsi a cittadini della comunità europea e non; che i cittadini che non sono della Comunità Europea possono venire da Paesi ricchi - perché la ricchezza non crea problema neppure per quanto riguarda l'immigrazione - oppure possono venire da Paesi in via di sviluppo; che vi sono i titolari normali di permesso di soggiorno e poi vi sono i regolarizzati e così via. Con orrore ho letto, dopo che abbiamo presentato il "Dossier statistico", che in Italia sono 1.200.000 gli stranieri regolarizzati. Ciò vorrebbe dire che tutti questi stranieri erano contro la legge e poi, grazie alla regolarizzazione, si sono messi a posto: è stata, chiaramente, un'inavvertenza terminologica. Bisogna stare attenti: titolare di permesso di soggiorno è uno che è venuto e che è sempre stato a posto con la legge; regolarizzato è invece colui che non era a posto e poi si è regolarizzato. I regolarizzati si dividono in altre due categorie: iclandestini e gli irregolari. Irregolare è uno venuto come studente, o come turista, e, dopo che gli è scaduto il permesso di soggiorno, si trattiene lo stesso in Italia. Clandestino è quello che ha passato clandestinamente la frontiera. Quando si parla di centinaia di migliaia di clandestini si esagera e basta pensare a quanti soldi ci vogliono per venire in Italia come clandestino, per correggere la stima verso il basso. Sono piccole cose che però aiutano molto e sono comunque indispensabili per essere corretti.

Stime terroristiche

Un altro pericolo da evitare sono le stime terroristiche. Qui non ci siamo proprio. Una volta avevo chiesto ad un amico giornalista, che andava alla presentazione di un rapporto sugli stranieri  prodotto da una certa organizzazione del commercio, di chiedere come avessero ottenuto la stima di 1.500.000 clandestini. Il mio amico si avvicinò al relatore ponendo questa domanda. Venne trattato con una sufficienza quasi stizzita: eppure la stima, secondo me, era inventata. E' significativo l'esempio della legge Martelli, che ha previsto la regolarizzazione più liberale del mondo. Bastava infatti essere in Italia prima del 31 dicembre '89 e si veniva regolarizzati: come prova bastava un conto d'albergo, una fotografia, l'attestato di un'organizzazione di volontariato circa l'avvenuto ingresso prima di quella data. Allora, non vi dico il nome, vi fu un politico preminente che da Bruxelles disse: "In Italia sono tre milioni i clandestini". Invece quella regolarizzazione riguardò solo 240.000 immigrati. Si esagerò ben dieci volte il numero reale. Voi che siete operatori della notizia potete immaginare l'impatto negativo che può avere sulla gente questo tipo di informazione esagerata. Recentemente, per quanto riguarda l'ultima regolarizzazione (1995/96), in ambito ministeriale si è sentito parlare di 800.000 clandestini, mentre qualcuno ha giocato al raddoppio (1.500.000); invece i regolarizzati sono stati 250.000. E' vero che qualcuno sarà rimasto fuori in quanto, o è autonomo, o fa comunque dei lavori precari sui quali è difficile fornire prova; però, esagerando, si falsa il problema degli immigrati e si finisce per predisporre la popolazione alla non accoglienza.

Promuovere una convivenza pacifica

Prima di concludere voglio dire una cosa sull'aspetto interreligioso. Ieri o l'altro ieri si è parlato di covi terroristi del Gia algerino anche in Italia. Innanzi tutto bisogna precisare che sono dei sospettati di terrorismo e non propriamente dei terroristi: la Costituzione vale anche per loro. Non è escluso che fra pochi mesi si scopra che il sospetto era solo una bolla di sapone. Inoltre, vedendo quello che capita in Germania, in Belgio, in Francia, si può ritenere che per la differenza religiosa l'Italia è un paese fortunato. Un esempio è significativo: qualche volta, a Roma, quando vengono a sapere che sono della Caritas oppure dell'area religiosa, vedo che qualche musulmano si presenta come "amico di monsignor Di Liegro". Una simile autopresentazione dovrebbe stemperare i toni della nostra diffidenza. Questi musulmani hanno visto che noi siamo stati loro vicini e che molte volte la stessa parrocchia ha messo a disposizione la sala per pregare: perciò non c'è astio religioso dei musulmani nei nostri confronti. Vero è che questi immigrati ancora non hanno i loro leader e ancora i Paesi d'origine impongono loro le linee da seguire. Però immaginate il futuro che si può determinare: se questi continuano a vivere in pace con noi, alla seconda o alla terza generazione avranno dei leader, anch'essi abituati a vivere in pace con noi; così noi avremo vinto la battaglia del terrorismo. Non c'è bisogno di sganciare o di minacciare con gli aerei i loro Paesi: bisogna mostrare che la convivenza pacifica, anche religiosa, è una prospettiva molto utile.

Dirigere la politica migratoria

Sono convinto che viviamo una fase della storia, in cui possiamo ancora dirigere la politica migratoria. Questa fase è del tutto provvidenziale, perché forse tra venti o trent'anni non si ripeterà più. Dico tra venti o trent'anni perché, sempre secondo stime dell'Onu, i potenziali emigranti sono un miliardo. Magari non partiranno tutti lo stesso anno, però anche mettendosi in giro in pochi all'anno, l'ondata sarebbe travolgente. Se non si arriva ad un'impostazione politica - cioè non frenare o sopprimere il fenomeno, cosa impossibile, ma incanalarlo d'accordo con i Paesi d'origine - ne verremo sommersi. Poiché viviamo in una fase in cui è possibile una vera politica migratoria, basta con il pietismo e cerchiamo di essere un po' più accorti. Ci sono dei problemi veri. Chi dice che l'immigrazione non comporta nessun problema e nessuna disponibilità aggiuntiva dice una falsità. Se tre persone in più vengono a mangiare a casa vostra, e voi avevate già preparato per sette, il cibo disponibile può essere comunque un po' meglio ripartito: qualcuno perde un po', ma tutti possono mangiare. Non si può dire che possiamo fare una politica d'accoglienza senza dare niente: queste sono le facilonerie che hanno pensato anche i nostri politici. La legge 943 del 1986 non aveva copertura finanziaria; la legge Martelli del 1990 l'ha avuta solo per tre anni. Se si ragiona così, credo che di politica migratoria sia meglio non parlare più. 
Sempre sul piano economico si aggiunge il fatto che siamo un Paese in buona compagnia con quasi tutto l'Occidente che sta lesinando gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo. Nel 1995 abbiamo stanziato solo 700 miliardi di lire, mentre anni prima davamo più di tremila miliardi. Nello stesso anno gli immigrati, coi loro sudati risparmi, hanno fatto passare attraverso le vie ufficiali 404 miliardi di lire come rimesse. Le rimesse complessive degli immigrati, inclusi anche i flussi che non passano attraverso i canali ufficiali, si avvicinano già a mille miliardi. Questo vuol dire che l'auto-aiuto degli immigrati è più forte di quello che noi popoli ricchi assicuriamo e quindi che l'immigrazione diventa un fattore di propulsione economica. Questo è stato detto anche da professori autorevoli come Raimondo Cagiano De Azevedo. La massa delle rimesse degli immigrati a livello mondiale è seconda solo alle somme provenienti dal petrolio. Sul piano politico l'immigrazione può essere parimenti un'esperienza positiva. Noi veniamo dalle esperienze coloniali, periodo in cui lo scambio non è stato alla pari. Adesso, su un piano di eguaglianza e di dignità, possiamo confrontarci con questi nuovi venuti sulla concezione della democrazia dello stato laico: e le premesse, se riusciamo a sfruttarle, sono buone. Possiamo arricchirci a vicenda anche sul piano culturale: non è vero che gli immigrati sono un attacco alla nostra identità. Qualche volta prendiamoci il lusso - alla portata di tutti - di avere un immigrato come amico. Non costa niente: a me Teodoro, per la sua amicizia, non ha fatto mai pagare niente. Scopriremo così degli orizzonti che prima ci sfuggivano.

 

Ndjok Ngana*

Il negro (2)

"Noi, popolo senza nome"

"Negro" viene dal latino "niger - nigrum", dallo spagnolo "negro". Nel dizionario la definizione è: relativo ad una delle grandi suddivisioni antropologiche dell'umanità, la cui distinzione più vistosa è quella del colore scuro della pelle. Poi: individuo appartenente a questa suddivisione antropologica, poi, fra parentesi, condizione inferiore e di assoggettamento e sfruttamento, derivante dalla tratta degli schiavi e dall'autorità dei primi faraoni negri. Questo modo di definire le cose ci porta già a capire che quando uno parla del negro, ha un problema. Può dire la verità o può mentire. Ci sono due modi di mentire, sapendo che chi ascolta è ignorante in materia. Uno dei modi è dire una cosa falsa, un altro modo è non dire niente. Questi due modi di mentire vengono utilizzati molto nel giornalismo e soprattutto il secondo, perché il primo espone chi lo usa, mentre il secondo no. Cioè si dice: "non ho fatto niente, non ho detto niente, non ho parlato male". Ma non hai nemmeno parlato. Non è possibile che una cosa che esiste, per il semplice fatto che non se ne parli, scompaia.
Si è cominciato parlando di immigrazione. Quando io sono arrivato, circa vent'anni fa, si parlava dell'immigrazione clandestina come immigrazione spontanea, poi la parola è cresciuta e si è detto che ci sono anche dei clandestini. La cosa parte dallo Stato; si pensava che gli immigrati fossero di passaggio, questo esisteva anche nella legislazione (T.U.L.P.S.): si pensava a noi come a delle persone che erano venute temporaneamente, dopodiché se ne sarebbero andate. Questo ogni immigrato ce l'ha in testa, ma Italia, essendo un Paese di emigrazione forte, conosce bene che, quando si parte, non è detto che si realizzi questo ritorno. Mi sembra che ci si sia scordata la storia dell'Italia: in questo Paese sarebbe molto semplice parlare di immigrati, ma non si riesce a farlo, forse perché i giornalisti mentono.
Quando un bambino deve crescere ci sono molte scuole: c'è la famiglia, c'è la scuola istituzionale, quella con i provveditorati, poi c'è la strada, che l'aiuta a crescere, c'è quello che viene chiamato fattore psicologico: cioè l'identificazione con una personalità importante. Tutti questi fattori aiutano a crescere, lo strumento della scuola è l'informazione. E' molto importante, perché martella ogni giorno. I giornali, la televisione, le riviste, la radio, genitori, amici, insegnanti: è un incrocio di spari che, se non vengono orientati bene, colpiscono e uccidono le persone. 
Vorrei chiedervi: per chi scrivete? Perché mi sembra sia fondamentale che voi prendiate coscienza di questa cosa, per chi voi state scrivendo e perché voi state scrivendo. Pittau ha mostrato tutte le trappole che vengono tese e dove cadono tutti quelli che non fanno attenzione a quello che stanno facendo. Noi soffriamo questa cosa. Non riesco ad essere una persona seria perché immerso in un ambiente che non mi permette di esprimermi come persona. Sono andato un giorno nella scuola, come faccio di solito. Lo faccio perché so che se si insegna al bambino come vivere, da grande se lo scorderà difficilmente. Siamo un gruppo di immigrati che, essendosi accorti di essere razzisti, si impegnano perché le generazioni future non lo siano. Siamo l'associazione Baobab. La nostra società perfezionalizza, perfeziona tutto, cioè richiede la perfezione in tutto, e questo ti fa essere discriminatorio, cioè ti trasforma, piano piano. Voi avete fatto il dettato, no? Quando si fa il dettato si scrivono 50 parole giuste e magari solo due parole sbagliate. Quando andavo a scuola il sistema era che si toglievano quattro punti su venti per aver scritto due parole sbagliate, senza considerare che io ho scritto 48 parole giuste. La scuola ci porta a dire: "bisogna scrivere tutto giusto", ma anche quello che ha scritto una sola parola giusta dovrebbe avere il diritto di godere della gioia di avere saputo come si scrive una parola giusta. 
Vi stavo facendo un esempio perché ho lavorato con una classe di prima elementare e alla fine dell'anno abbiamo chiamato i genitori ed esposto quello che avevamo fatto, poi abbiamo discusso, danzato, mangiato con i bambini e con i genitori. Uno dei bambini aveva detto a casa che era venuto un "negretto" a scuola. Questo bambino non mi arriva all'anca. Però ha detto che era venuto un "negretto". Quando i suoi genitori sono arrivati, per caso mi hanno detto: "c'è una discussione là, che è interessante". Mi sono avvicinato e i genitori stavano dicendo al bambino che quel diminutivo non andava bene e il bambino sembrava convinto che si dicesse così. Chi è che ha insegnato al bambino se non i genitori? Chi è che ha insegnato al bambino che si dice così, che si dice negretto, se non l'informazione? Io sono del Camerun, però qui in Italia sono stato senegalese, marocchino, palestinese. E' la tecnica di non definire niente. Sono stato tutto, sono stato pure di colore, non so quale. Sono stato extracomunitario, forse perché dovevo essere estraneo a certe cose, sono africano e qualcuno mi ha chiamato "afro". Afro in origine erano quei frutti esotici che erano aspri: è da lì che viene questa parola, e io mi sono ritrovato ad essere un po' "aspro", anche se non sono aspro, potete assaggiarmi. Sono stato pagano, forse sono anche stato, sono sempre stato straniero, perché sono strano. Io voglio essere Teodoro. Io voglio essere Ndjock Ngana. 
Io sono Ndjock, mio padre si chiama Ngana e per questo io mi chiamo Ndjock Ngana, cioè Ndjock figlio di Ngana, da noi si fa così. Non serve nemmeno più mettere Teodoro, però siccome ho avuto un passato cristiano - forse anche un presente - entrando in una comunità, sono stato battezzato. Quando sono entrato nella mia famiglia sono stato battezzato Ndjock Gana, quando sono entrato nella comunità cristiana hanno detto che mi chiamo Teodoro. Voglio essere normale, ma non ci riesco. Quale informazione c'è su di me? Bisognerebbe parlare della continuità dell'informazione, di una certa informazione, del contesto nel quale quell'informazione viene presentata, perché se io non so niente, se io non conosco niente di te, ho bisogno di informazioni, per conoscere, per poter sapere che cosa hai fatto, altrimenti la notizia è epidermica e l'informazione nociva. Vorrei avere un posto nel contesto culturale italiano, non essere qualcosa di indefinito, ma una persona che esiste, ha un posto, fa qualche cosa. Ad esempio, quello è un muratore: io voglio essere un muratore, non voglio essere uno straniero. Anche questo è difficile, cioè ai muratori immigrati risulta difficile essere muratori, perché sono "muratori immigrati". E' come se un muro fatto da un immigrato fosse diverso da un muro fatto da un italiano. Come se ci fosse un muro fatto dalla parola "immigrato".
Vorrei capire come una notizia, una storiella può diventare storia, avere una forza educativa, esemplare. Perché se le notizie dei nostri Paesi di origine non arrivano qua, ciò che arriva è storiella. Abbiamo sofferto un sacco di storielle, ogni momento escono fuori, perfino nei giornali di sport. Chiamano Zola il sardo, chiamano Weah il senegalese (c'è qualcuno che l'ha chiamato senegalese, poi l'hanno ripreso perché non sapeva che Weah era liberiano). Ma Weah è un giocatore del Milan, è "Il centravanti del Milan", cavolo, lascialo centravanti del Milan! Queste colorazioni particolareggiate servono per sminuire - per questo ho parlato del negretto. Come si faceva con le barzellette con i carabinieri: c'era tanta disoccupazione, tanta gente del sud andava a lavorare, andava a fare il carabiniere e di tutto questo si è fatta una questione di barzellette sui carabinieri. Io sono contro le barzellette, però fanno ridere; e bisogna anche ridere di tanto in tanto. 
Vorrei che tentaste di espellere dalla società una realtà che sembra trasformarsi sempre, di giorno in giorno, in un incubo per molta gente. Non è una faccenda che riguarda soltanto gli immigrati, perché lo so che si fa per varie categorie: si maltrattano i malati mentali, gli omosessuali. Perché scrivete queste cose? 
Vi volevo leggere una poesia, perché da noi si dice - io sono basaa del Camerun - che la parola è la cosa più importante, è la cosa più sacra che esiste. Nessuno la può monopolizzare. E' giusto che quando uno parla l'altro possa rispondere. Però vi voglio leggere una cosa che ho scritto su Jerry Maslo. Lui veniva dal Sudafrica e quando è morto tutti sono andati al funerale. Due settimane dopo il funerale ci siamo ritrovati a Roma con uno dei sudanesi che stavano con Jerry Maslo, che non sapeva dove dormire. Sono cose strane - con tutti i funerali di Stato, l'amico suo stava ancora in giro - queste cose succedono e noi possiamo dire la verità su queste cose; perché voi non lo fate?

 

Poesia per Jerry Maslo

Allora: 

Quando arrivi in Italia, 
cerchi un Giornale, una rivista 
che parli di te, dei tuoi, del tuo paese, 
o che sia portavoce dell'Opinione tua propria. 

Uno sguardo nella Storia 
cade sul Secolo XIX
ma ti accorgi che non c'era il problema di immigrazione 
né in quel secolo, 
né nel Secolo d'Italia di Oggi, 
che potesse essere preso in considerazione.  

Allora, Avanti, sempre avanti, 
nella speranza di trovare il Giornale giusto. 
Senti la Voce repubblicana,   
ma senza successo.

Così, sfogliando tutta la Repubblica 
da nord a sud, pagina dopo pagina, 
cerchi la Stampa seria, 
con pazienza, finché trovi 
qualche briciolo nel Corriere della sera

Il Mattino seguente, riprendi la ricerca 
per il tuo Avvenire; 
ma sembra che il Popolo di tutta la Nazione 
non ha il Tempo per la tua causa, 
per i tuoi diritti in Italia Oggi
Il Giorno, prendi un po' di riposo per pensare 
alla politica, all'amicizia, al genere umano. 

La Notte, pensi a quanta Comunione 
e quanta Liberazione potresti manifestare 
il Sabato sera 
e anche la domenica a Porta Portese.

Così vagando, la tua mente 
cade sulla Donna moderna
ma nemmeno le donne sono sensibili. 
vorresti che risplendesse il Sole 24 ore 
su 24 in questo tuo nuovo paese. 
Speri in una norma nella Gazzetta ufficiale. 

Speri che non ti manchi mai 
il sostegno e l'Umanità, 
come al nostro Paese sera.
Vorresti che uscisse il Manifesto 
dell'Unità reale dei popoli, 
perché l'immigrato può soffrire solo di due malattie: 
la nostalgia e la solitudine.  

Ti accorgi che non solo 
la Gazzetta e il Corriere dello sport
ma persino Tuttosport parla 
di tutto il mondo dello sport, 
ma non dello sport di tutto il mondo. 

In Italia sera, nel Messaggero
persino nel Giornale d'Italia 
cerchi Avvenimenti nel Panorama 
della notizia diffusa in Italia; 
ti convinci quasi di avere sbagliato Epoca
perché non trovi niente di Espresso per te, 
in questa nuova Famiglia cristiana 
di Gente Amica che ti sei fatta oltremare. 

Fino a quando diventato vecchio, 
ma non Europeo
alla soglia di una nuova Europa, 
senti che qualcosa si muove, 
e ti chiedi se sia per te; 
così stremato, 
trovi tra le notizie brevi, 
qualcosa di sensazionale; 
"il fratello insieme al quale arrivasti
 è stato ammazzato". 
Finalmente, una notizia che ti riguarda. 
e ne parlano tutti, 
dal Giornale di Sicilia alla Nuova Sardegna
che sollievo! 

Allora capisci 
quanto tempo perso a cercare, 
mentre potevi tranquillamente 
fare 
il tuo proprio giornale.

(dalla raccolta di Ndjock Ngana, "Nhindo/Nero", Roma, Anterem, 1995)

Che vogliamo mandare la gente a fare il proprio giornale?


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.