III Seminario Redattore Sociale 8-10 Novembre 1996

Periferie umane

Tra responsabilità e diritto di cronaca. Deontologia e concorrenza, responsabilità e sensibilità sociale

Intervento di Vincenzo Varagona

 

Vincenzo Varagona - giornalista Rai Marche*

Don Vinicio mi ha presentato come giornalista della sede Rai di Ancona, ma vorrei aggiungere che è soprattutto come Segretario del Sigim, il Sindacato dei giornalisti di questa regione, che sono qui. Lo dico volentieri, perchè gli amici di Capodarco sono testimoni del calore con cui la nostra associazione, da sempre, segue lo sforzo che don Vinicio ed i suoi collaboratori da anni stanno facendo per farci crescere in sensibilità e preparazione. Dico anche che non è frequente ottenere dalla categoria e dalle stesse istituzioni di categoria (Ordine e Sindacato) questa attenzione. I colleghi avvertono molte volte fastidio nel sentirsi, da una parte, aiutati e stimolati, dall'altra, caricati di ulteriori responsabilità e fatiche.
Ebbene, nelle settimane che precedevano questo appuntamento, pensavo - e con me i colleghi del direttivo - a come intervenire, con un saluto che interpretasse la nostra vicinanza, che non è certo formale. La scelta è caduta sul "Sommario", che è il nostro periodico. La scelta non è stata facile, perchè abbiamo verificato che i nostri colleghi preferiscono, in copertina, messaggi meno drammatici e più "aderenti" alla nostra professione. Ma alla fine l'abbiamo spuntata ed abbiamo offerto, in copertina - che è quella che trovate in cartella -  una foto di guerra, tratta da un reportage di un collega fotoreporter marchigiano. Si tratta di un'immagine della guerra di Bosnia, il primo di una serie di scatti dedicati alla disperazione, alle sofferenze, alla solitudine di tanta gente che vive, e muore, non lontano da qui. Accanto alla foto, una frase di Don Ciotti, che comunque potrebbe essere anche di Don Vinicio, perché lui queste cose le va dicendo ormai da anni:
"Non abbiamo bisogno - dice don Ciotti - solo di giornalisti amici. Abbiamo soprattutto bisogno di giornalisti veri, seri, documentati, di testate che non calpestino tutto il lavoro che stiamo facendo".
Ecco, questa frase, presa da un suo intervento, mi ha molto colpito. Ci offre un criterio, una chiave di lettura fondamentale dello stile, del modo di affrontare la professione. E ritengo un segnale importante che quella foto e quella frase siano pubblicati non su un periodico delle associazioni di volontariato, ma su un giornale di categoria, perché raramente i giornali di categoria si trasformano, da bollettini, in strumenti di riflessione e di confronto sui problemi reali. Spesso e volentieri sono soltanto un'accozzaglia di pezzi per parlarci un po' addosso.

Deontologia e concorrenza

Perché dico che è un segnale? Perché non sempre la difesa del nostro lavoro, della professione, dell'attività che ci fa vivere, deve tradursi in difesa cieca del prodotto del nostro lavoro
Don Dante prima diceva: "Fino a dove ci arriva - diciamo - la 'melma'?". 
Io aggiungo: "Fino a dove arriva, anche nella nostra professione?" Ci siamo mai fermati a capirlo fino in fondo? Va detto che la crisi, sia in termini di popolarità che di credibilità, ultimamente ci costringe a farlo sempre più spesso, ma il rammarico è che lo facciamo perché vi siamo costretti e non perché questa esigenza, questa riflessione partano da noi. 
Giorni fa ad Ancona sono venuti l'ex presidente della Federazione della stampa, Vittorio Roidi, e Guido Columba, presidente dell'Unci  (Unione cronisti) a parlare diDiritto di cronaca e tutela dei diritti. Ecco, in quella serata si sono confrontati alcuni filoni di pensiero: alcuni colleghi hanno sostenuto la necessità sul fatto che è indispensabile lavorare sulle competenze, perchè non è più possibile, oggi, davanti alla complessità dell'informazione e della realtà che dobbiamo interpretare, lavorare senza avere competenze, e continuare ad essere tuttologi, anche un po' presuntuosi.
Columba sosteneva che gli editori non possono pretendere che ogni giornalista, ogni collega si specializzi nella materia di competenza. Vero. In parte è anche vicino a ciò che diceva Vinicio e che è emerso nei seminari di Capodarco degli ultimi due anni: non serve un giornalista che si specializzi nel sociale, ma occorre che ci sia una comune sensibilità sociale in tutti quelli che fanno i giornalisti. 
Io credo, però, che tutto ciò non sia più sufficiente.
Prendiamo un esempio, da un fatto di cronaca avvenuto proprio ieri. Ad Ancona una relazione fra due ragazzi si conclude in modo un po' burrascoso: il ragazzo rapisce la fidanzata, la tappa in una casa finchè non viene inevitabilmente bloccato dalla polizia, che lo arresta per rapimento. Il ragazzo finisce in carcere, e due ore dopo si suicida.
Cosa succede nelle redazioni? Prendo l'esempio di quella dove lavoro, la redazione Rai. Quando arriva la notizia il collega che in quel momento ha il coordinamento del telegiornale, confrontandosi con la redazione, decide di non dare la notizia. La valutazione segue un'antica tradizione della redazione, secondo la quale l'impatto di quel tipo di notizia, il rischio di emulazione che presenta (statisticamente accertato) e l'esposizione ad un altro rischio, quello di speculare sui drammi personali, diventano elementi prioritari sul diritto di cronaca. La sera, quindi, la notizia non viene data. 
Il giorno dopo, però, tutto il lavoro realizzato la sera precedente viene sostanzialmente ignorato e sull'episodio viene realizzato un servizio filmato. Credo che non sia un fatto raro: nei giornali, oltre ai servizi, vengono offerte al pubblico vistose locandine, con tanto di fotografia del cappio al collo.
Ora, va detto che il dibattito che ne esce fuori non è superficiale. Non ci si può, infatti, fermare a dire che il suicidio va dato e basta, perchè comunque è una notizia che la gente vuole sapere e ha il diritto di avere, oppure che il suicidio non bisogna darlo, perchè altrimenti cinque minuti dopo ce ne saranno, per emulazione, altri cinque.
Occorre tornare a pensare, a costruire le condizioni per correre di meno, per ragionare sulla direzione che sta prendendo questa professione. Ci sono colleghi che mi dicono, costernati, che non si riconoscono più, dopo tanti anni "nel mestiere più bello del mondo". Il cannibalismo editoriale ha cambiato completamente abitudini e prospettive. Il codice deontologico, che anni fa poteva costituire un piccolo 'dogma', oggi crolla miseramente davanti alle dieci copie in più del giornale concorrente. E' complicato parlare di questi problemi. Sono battaglie continue nelle redazioni. Ma se rinunciamo a ragionare, rinunciamo anche a garantirci un futuro.

Responsabilità e sensibilità sociale

Credo che la gente, per venire al problema di questa sera, si stia stancando della possibilità che le viene data di avere ogni giorno miriadi di informazioni. Si accontenterebbe di averne la metà o anche un quarto, ma vorrebbe, in compenso, capire come e perché queste notizie nascono, e ancora i fatti a cui queste informazioni si riferiscono. Parlo della cosiddetta funzione di mediazione culturale
Anche su questo il dibattito è molto attivo, serrato: dobbiamo soltanto dare la notizia, nuda e cruda, o dobbiamo cercare di capire - per far capire - perché e come i fatti succedono?
Tornando alla responsabilità, spesso devastante, di alcune notizie, ho citato quella del suicidio, ma pensiamo ai mitomani. Sempre l'altra sera ad Ancona: chiama un mitomane, dice che c'è una bomba nel traghetto in partenza dal porto. Per tre ore la nave resta ferma e 250 persone vengono fatte uscire in fretta e furia con auto e camion. Un trambusto di quelli che si ricordano. Un fatto che fa discutere. Ebbene, la notizia va data o no? 
Valutare la responsabilità del mezzo significa capire che se un milione e mezzo di persone conoscerà questa notizia, sono altissime le probabilità che in poche ore altre telefonate di mitomani arriveranno alle forze dell'Ordine. Oppure ai giornali, alle agenzie. Ci siamo mai chiesti, infatti, perchè le telefonate dei mitomani arrivano alla Rai o alle agenzie o ai giornali più diffusi? Evidentemente perchè è il canale più rapido per darne diffusione. Ecco, dando quella notizia c'è il rischio di farsi strumenti di un gioco perverso.
Riflettere su queste cose non è semplice. Davanti a questa complessità, come diceva Lorenzo Del Boca, le redazioni hanno una grande difficoltà a riflettere nello stress di 15 ore di lavoro. Spesso la loro reazione è quella di chiudersi a riccio, per evitare di affrontare problemi di una complessità enorme, oppure di trincerarsi dietro il fatto che c'è il diritto di cronaca, e le notizie comunque vanno date. 
Il problema è capire se noi dobbiamo dare solo informazioni o dobbiamo farci carico anche delle responsabilità che l'informazione che diamo comporta. Questo è un problema che mi pare abbia un grande significato, soprattutto nell'informazione sociale, ad esempio riguardo all'informazione sulle droghe e sugli effetti che hanno. Ecco, dunque, che ritorno al tema della preparazione. E' vero che non vogliamo un giornalista specializzato nel sociale, perchè tutti i giornalisti devono avere uno spessore sociale. E' anche vero che il sociale non è un settore, ma una dimensione, una sensibilità. Ed è vero anche che quando la preparazione specifica è maggiore, si alza anche la possibilità di dare valutazioni complesse, come quelle che abbiamo cercato di richiamare.
Mi fermo e passo la parola ai relatori che Vinicio ha già presentato.
Paolo Garonna, direttore generale dell'Istat, economista, che ha il compito di cercare di estrapolare dalla miriade di dati che all'Istat arrivano, un aiuto alla lettura degli indicatori sui fenomeni di solitudine.
Franco Prina, sociologo che si occupa di devianza, docente all'Università di Torino, giudice onorario del Tribunale per i minori di Torino, un intenso passato nel gruppo Abele, membro del comitato scientifico dell'Agenzia di Formazione del Cnca.
Infine un ultimo dato. In questo corso siamo in 190: 21 vengono da quotidiani nazionali e locali, 20 dalle scuole di giornalismo (gli IFG di Milano, di Bologna, di Urbino, la Luiss, il diploma in giornalismo di Macerata), 17 della Rai, 17 dagli uffici stampa di associazioni e istituzioni, 11 da agenzie di stampa, 85-90 tra settimanali e mensili nazionali o a circolazione più limitata, tutta la redazione di "Segno 7".


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.